Volvo taglia 3.000 persone: paga due problemi

Annuncio da parte di Volvo di tagliare 3.000 posizioni d’ufficio, pari al 15% della sua forza lavoro non direttamente legata alla produzione. 
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La mannaia auto elettrica e dazi USA colpiscono duro in Europa, con Volvo che taglia 3.000 persone: è la nostra opinione. Obiettivo della Casa svedese, risparmiare 18 miliardi di corone svedesi (pari a circa 1,6 miliardi di euro) entro i prossimi due anni.

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Segno delle profonde trasformazioni strutturali che stanno investendo l’industria automobilistica europea a causa del tutto elettrico voluto dalle lobby ultra green, le quali influenzavano pesantemente le politiche in quel di Bruxelles. Influenzavano pesantemente quando la sinistra verde imperava in Germania e Francia; adesso le cose stanno cambiando e la politica inizia a innestare parziali retromarce per il timore di conseguenze sociali e in ultima analisi di perdere potere e poltrone. Questa la nostra idea personale.

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In più, sono arrivati i dazi USA: per la maggior parte della sua produzione concentrata in Europa e Cina, Volvo Cars è più esposta alle tariffe statunitensi rispetto a molti dei suoi concorrenti europei. Ha affermato che potrebbe diventare impossibile esportare le sue auto più economiche negli Stati Uniti.

Ricordiamo che la maggioranza di Volvo è detenuta dalla cinese Geely Holding. Nel primo trimestre, la Casa automobilistica aveva 43.500 dipendenti a tempo pieno e 3.000 persone in agenzie di lavoro interinale, secondo la sua relazione sugli utili. Gli impiegati rappresentano oltre il 40% della sua forza lavoro.

Volvo: i tagli divisi così

1) Delle 3.000 totali, 1.000 posizioni riguardano consulenti, la maggior parte dei quali opera in Svezia. Si riduce la dipendenza da servizi esterni, spesso costosi. Magari si farà uso di Intelligenza Artificiale in loro vece.
2) Altri 1.200 dipendenti svedesi verranno licenziati. Questa è la parte più sensibile e socialmente impattante del piano, in quanto riguarda lavoratori direttamente assunti con contratti a tempo indeterminato o determinato. 
3) Le restanti 800 posizioni da tagliare interessano il personale all’estero. Si cerca la razionalizzazione per massimizzare l’efficienza.

Tutto incerto

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“L’industria automobilistica sta attraversando un periodo difficile. Per affrontare questa situazione, dobbiamo migliorare la nostra generazione di flussi di cassa e ridurre strutturalmente i costi”, ha dichiarato l’amministratore delegato Hakan Samuelsson. La Casa ha ritirato le sue previsioni finanziarie dopo aver annunciato i tagli ai costi il ​​mese scorso, evidenziando l’imprevedibilità dei mercati, in un contesto di minore fiducia dei consumatori e di dazi doganali che stanno causando turbolenze nell’industria automobilistica globale. Venerdì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato di imporre dazi del 50% sulle importazioni dall’Unione Europea a partire dal 1° giugno, ma oggi ha fatto marcia indietro, ripristinando la scadenza del 9 luglio per consentire i colloqui tra Washington e Bruxelles.

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Dalla pandemia alla spallata dei gruppi di potere intransigenti 

La pandemia 2020 ha lasciato un’eredità duratura sull’automotive. Anche per questo, a livello politico-istituzionale era opportuno frenare con la mania dell’elettrico. Invece, s’è passati dal Covid alla spallata dei gruppi di potere intransigenti: catene di approvvigionamento globali, tensioni geopolitiche, inflazione, costo dell’energia stellare. C’è tutto per tornare al termico, e fermare i licenziamenti coi drammi per le famiglie coinvolte. Invece, avanti dritto, con le Case che si difendono come possono: regola numero uno, dare sforbiciate. L’auto moderna è un costosissimo e sofisticatissimo computer su ruote, con software, connettività, servizi digitali, capacità di aggiornare il veicolo over-the-air (OTA). Servono investimenti faraonici.

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