Sulle strade italiane c’è una verità che forse in molti non sono pronti ad accettare. Un’altra delusione dalle nostre infrastrutture che non rassicurerà gli automobilisti. Le nostre barriere di sicurezza, infatti, sono pensate per veicoli che semplicemente non esistono più. Le strutture che sono state testate per “contenere” i mezzi in strada, non sono adatte ai veicoli che spopolano oggi.
Quando le barriere furono progettate, negli anni Novanta, le auto avevano un peso medio di circa 1.200 chilogrammi. Oggi, l’arrivo trionfale di SUV e vetture elettriche ha fatto lievitare la media oltre i 1.800 chilogrammi. La normativa che regola la resistenza delle barriere, però, è rimasta drammaticamente immutata dal 1992.

A lanciare l’allarme è AISICO, azienda specializzata in sicurezza stradale, che denuncia il rischio per tantissimi automobilisti italiani. In caso di impatto, le vecchie barriere di contenimento potrebbero non reggere il peso e l’inerzia dei veicoli contemporanei, esponendo gli automobilisti a rischi maggiori e, in molti casi, evitabili.
I numeri Istat per il 2024 danno già un quadro complessivo della gravità della situazione. Si sono registrati 3.030 morti e 233.853 feriti in incidenti stradali, con un preoccupante aumento del 4,1% rispetto all’anno precedente. L’Europa punta a dimezzare le vittime della strada entro il 2030, ma l’Italia è ancora troppo lontana dal traguardo, con una riduzione delle vittime di appena il 4,5% rispetto al 2019.
Come sottolinea Ottavia Calamani, CEO di AISICO: “Abbiamo aggiornato motori, elettronica e tecnologie di bordo, ma abbiamo trascurato gli elementi che devono salvare le vite quando la tecnologia non basta”. In altre parole, abbiamo auto performanti e sicure, ma le mettiamo su strade protette da standard vecchi di 30 anni.

Alla fine del 2024, a onor del vero, è stata redatta una circolare da ANSFISA (l’Agenzia nazionale per la sicurezza) rivolta ad ANAS, Regioni, Province e Comuni, con l’obiettivo di censire le barriere presenti sul territorio e stabilire le priorità d’intervento. Un primo passo che, tuttavia, non basta. L’urgenza è un ripensamento radicale dei criteri di progettazione e collaudo. Gli standard di sicurezza per la produzione, d’altronde, restano antiquati di fronte a un parco circolante sempre più pesante.
