Su tutte le alternative “sostenibili” che vanno dall’estrazione di litio e di altri materiali rari per le batterie delle auto elettriche, la soluzione, incredibilmente, potrebbe arrivare dal mare, o meglio, dai rifiuti del ristorante di pesce. Suona proprio male, ma è frutto di uno studio molto ambizioso.
I ricercatori dell’Università del Maryland hanno pensato bene di utilizzare la chitina, la sostanza che conferisce durezza ai gusci dei crostacei, per creare un elettrolita biodegradabile. In pratica, potremmo mangiare “gli insetti d’acqua” come sempre e usare anche i loro resti scheletrici per ricavarne energia. Non male.

La realtà di questo “aiuto dal mare” (o meglio, dalla spazzatura) è da prendere sul serio. Ogni anno l’industria della ristorazione produce fino a 8,8 milioni di tonnellate di scarti di crostacei. Il team del Maryland pensa sia importante riciclare questa chitina. Grazie all’aggiunta di zinco, i ricercatori hanno creato una chimica che mantiene sorprendentemente il 99,7% della sua capacità dopo 400 cicli di carica/scarica.
Questa innovazione circolare, se implementata su larga scala, ha il potenziale di alimentare non solo i veicoli elettrici e i droni, ma anche i telefoni, e limitare la necessità di estrarre materiali costosi e difficili da reperire. Del resto, la chitina è abbondantissima. Ogni anno ne vengono prodotte naturalmente 100 miliardi di tonnellate (e altri ricercatori la stanno sperimentando per prodotti privi di plastica).
Il vantaggio ambientale è evidente. Una batteria che utilizza tali materiali può finire del tutto degradata dai microbi in meno di sei mesi, un miglioramento netto rispetto alle centinaia di anni richieste dai comuni componenti agli ioni di litio. Inoltre, lo zinco contenuto nei gusci può essere recuperato e riutilizzato.

Certo, fa storcere il naso pensare che i crostacei possano diventare nuovi protagonisti dell’allevamento intensivo per morire in nome delle batterie sostenibili. Tuttavia, è bene ricordare che riutilizzare gli scarti, almeno quelli necessari perché già passati dal consumo alimentare, eviterebbe la produzione di metano nelle discariche, un gas che alimenta il riscaldamento globale.
