L’idea che le batterie provenienti da auto elettriche vadano a finire in discarica è un mito da sfatare, una vera e propria bufala, come sottolinea l’ingegnere australiano Francisco Shi. Secondo lui, “anche se qualcuno decidesse di smaltire una batteria per veicolo elettrico portandola in discarica, ci sarebbe sempre qualcun altro pronto a recuperarla per rivenderla. Il valore di queste batterie è troppo elevato, la loro utilità è troppo grande per essere semplicemente buttate via”.
Francisco ha messo a punto un innovativo impianto di microproduzione energetica, costruito utilizzando pacchi batteria recuperati da veicoli Tesla e BYD danneggiati. Le batterie BYD, in particolare, sono le sue preferite: risultano “più facili da impilare e gestire”, mentre quelle Tesla richiedono strutture di supporto aggiuntive “a causa della loro forma irregolare”.

Il suo progetto dimostra non solo che la narrazione sulle batterie come rifiuto pericoloso è infondata, ma anche che questi accumulatori possono avere una seconda vita produttiva e remunerativa. Tutto è cominciato quando un’azienda specializzata nello smaltimento dei rifiuti ha affidato a Francisco l’incarico di creare un sistema sicuro per scaricare completamente le batterie di auto elettriche prima del riciclo. Ma durante le fasi di test è emerso qualcosa di inatteso: le batterie mantenevano un valore molto più alto se riutilizzate intatte, come sistemi di accumulo per l’energia.
L’officina di Francisco si trova in una zona industriale dismessa, ricca di tetti inutilizzati e infrastrutture elettriche sottoutilizzate. “Il vantaggio”, spiega, “è che si possono installare le batterie in questi capannoni senza investimenti infrastrutturali. Molti trasformatori sono inattivi. Basta integrare i tetti con pannelli fotovoltaici, collegarli alla rete, e la produzione energetica può cominciare”.

Il suo impianto fotovoltaico, inizialmente da 20 kW, ora raggiunge i 60 kW e presto verrà potenziato ulteriormente. Di giorno, quando l’energia solare è abbondante e i prezzi sono bassi (talvolta anche negativi), le batterie si caricano. Di sera, nei momenti di picco della domanda, l’energia viene riversata nella rete, fruttando fino a 7 dollari australiani per kilowattora. Questo sistema di arbitraggio energetico domestico gli ha permesso di ottenere “guadagni” fino a 1.400 dollari in una sola notte, con una media mensile intorno ai 1.000.
Grazie all’uso di inverter ibridi certificati, compatibili con la rete, Francisco è riuscito a integrare batterie di recupero in modo sicuro ed efficiente. Anche il ritorno sull’investimento è positivo: “Se compri un’auto incidentata, rivendi i componenti e tieni la batteria, praticamente l’hai ottenuta gratis”, spiega.
Non sorprende che il suo modello stia attirando attenzione in un contesto in cui i governi, come quello australiano recentemente eletto, iniziano a incentivare l’installazione di batterie domestiche.
Francisco vede un futuro in cui ogni abitazione con un impianto fotovoltaico potrà sfruttare una batteria di un’auto elettrica di seconda mano per massimizzare l’autoconsumo e generare reddito vendendo energia. La chiave, però, è la conoscenza tecnica: “L’ignoranza è il vero nemico. Molte auto elettriche risultano radiate inutilmente perché i periti non sanno che sono riparabili. È un enorme spreco”.