Un anno fa, Bruxelles ha introdotto i suoi dazi sull’importazione di auto cinesi, giustificando la misura con la necessità di proteggere il settore automobilistico europeo da una concorrenza ritenuta “sleale”, alimentata dai massicci sussidi provenienti da Pechino. L’obiettivo era frenare l’invasione.
La realtà, tuttavia, è stata l’esatto contrario, in un boomerang clamoroso. Non solo i dazi non hanno rallentato i produttori cinesi, ma ne hanno persino accelerato l’espansione: le loro vendite sono esplose del 93% in un anno, e le proiezioni per il 2025 superano le 700.000 unità vendute in Europa.

I marchi cinesi hanno dimostrato una flessibilità notevole, adattando immediatamente la loro strategia per aggirare le nuove misure. I veicoli completamente elettrici, che erano il bersaglio principale dei dazi più elevati, ora rappresentano solo il 34% delle loro vendite in Europa, in calo rispetto al 44% precedente. Al loro posto, hanno preso il sopravvento i veicoli ibridi e a motore a combustione interna, soggetti solo al modesto dazio del 10%.
Il vero asso nella manica, però, è il “vantaggio strutturale” cinese, ovvero costi di produzione inferiori del 20-30% rispetto ai concorrenti europei. Grazie a questo gap, anche con i dazi, i margini di profitto dei cinesi rimangono eccellenti. L’Europa, dunque, è diventata una vera e propria miniera d’oro, poiché i prezzi di vendita sono qui più alti che nella saturata Cina, dove infuria (ma calmandosi) una guerra dei prezzi interna. I consumatori europei, attratti da veicoli accessibili e ben equipaggiati, continuano a riversarsi sui modelli asiatici.

Di fronte a questa offensiva inarrestabile, ci si sarebbe aspettati una corsa a stabilire sedi locali per aggirare le tasse e i costi di logistica. Scelta che in parte ha preso forma. Ma la Cina soffre di sovraccapacità industriale, con un mercato interno saturo e una concorrenza spietata. Esportare in Europa rimane nettamente più vantaggioso che affrontare i costi di costruzione di stabilimenti in loco. Infatti, si prevede che entro il 2025 saranno assemblate in Europa meno di 20.000 auto cinesi, una cifra irrisoria.
Ci sono, però, alcune eccezioni, come BYD, che costruirà in Ungheria e Turchia, e Chery, che assembla in Spagna. Ma il rischio che i marchi asiatici, con i loro margini di profitto intatti e una strategia dinamica, dominino il mercato automobilistico europeo a lungo termine è ormai significativo e i dazi hanno mostrato tutti i loro limiti.
