Mentre ascoltiamo incessantemente governi e autorità sovranazionali dibattere su target e finanziamenti, Agora Verkehrswende ha raccolto e pubblicato uno sguardo istruttivo sul Cile, Paese che ha trasformato la sua mobilità in un modello di decarbonizzazione dei trasporti lodato a livello internazionale. La ricercatrice a capo dello studio Linda Cáceres Leal ha chiarito che, oltre ai sussidi e all’interesse pubblico, la coerenza politica e l’affidabilità sono gli ingredienti segreti per la trasformazione vera e sostenibile.
Il Cile ha iniziato la sua rivoluzione in modo sistematico, ancorando la trasformazione dei trasporti nella sua “Politica Energetica 2050” del 2016 e, soprattutto, nella pionieristica “Strategia Nazionale per l’Elettromobilità” del 2017. Questa strategia ha fissato obiettivi vincolanti, prevedendo un 40% di veicoli elettrici privati e il 100% per il trasporto pubblico (inclusi i taxi) entro il 2050.

Non c’è da stupirsi se, nel 2023, le strategie cilene di sviluppo a basse emissioni siano state classificate tra le migliori al mondo dal World Resources Institute, superando persino l’Ue e il Regno Unito per coerenza politica.
Lo studio evidenzia cinque punti cruciali, dimostrando che i trasporti, pur richiedendo investimenti ingenti, offrono il rendimento più elevato nel settore energetico, contribuendo per il 50% agli obiettivi di neutralità carbonica del Cile.
Il primo punto chiave è, come accennato, la coerenza politica a lungo termine. Il Cile ha fornito ai produttori la certezza che i contratti e i requisiti saranno rispettati, grazie a meccanismi finanziari iniziali e mandati successivi.
Il secondo punto riguarda gli strumenti innovativi di politica e finanziamento essenziali per i mercati emergenti. Santiago ha utilizzato un modello di business che separa la proprietà degli asset dalle operazioni, supportato da sussidi e riforme tariffarie energetiche che permettono agli operatori di risparmiare fino al 22% sui costi. In più, gli standard di risparmio di carburante penalizzano le fonti inquinanti, chiarendo in modo inequivocabile dove dirigere gli investimenti.

Il terzo punto evidenzia la debolezza cilena, ovvero la centralizzazione. Santiago accoglie il 95% degli autobus elettrici e il 75% delle infrastrutture di ricarica pubbliche. Le città regionali, al contrario, soffrono di “notevoli lacune infrastrutturali”, mostrando che la decarbonizzazione completa richiede l’ampliamento nelle città secondarie.
Il quarto punto chiarisce come l’elettrificazione debba estendersi oltre gli autobus. La lenta adozione di veicoli elettrici per il trasporto merci e privati, con una penetrazione di appena il 2,5% per i privati, rischia di bloccare l’intero progresso.
Infine, il quinto punto sottolinea che la visibilità di questi progetti crea un effetto domino in America Latina, incoraggiando altri Paesi a seguire l’esempio.
Il Cile non ha dovuto affrontare la “resistenza o le sfide di ristrutturazione industriale” che Paesi come la Germania si trovano ad affrontare. In soldoni, non si è dovuto “combattere” o proteggere i produttori tradizionali. Di sicuro non parliamo di un fenomeno di elettrificazione da prendere e applicare (a mo’ di copia e incolla) altrove: l’esempio cileno è quello di coerenza, visione e sforzo a partire dalle persone e non dai loro portafogli.
