Una vera e propria traversata nel deserto. Questo è ciò che attende l’industria automobilistica, nel corso dei prossimi anni. La fase di stagnazione dovrebbe durare sino al 2030 e riguarderà, naturalmente, anche l’Italia. A evidenziare questi dati è il nuovo studio condotto da ANIASA e Bain & Company, intitolato “Navigare nella nebbia. Il futuro incerto dell’automotive”. L’indagine, condotta ogni anno, è stata oggetto di presentazione nel corso di un evento che si è svolto a Milano. E conferma quello che molti osservatori affermano ormai da tempo: per il settore automobilistico si prospetta un futuro tale da mettere in pericolo la sopravvivenza di non poche case. Reso incerto soprattutto da una lunga serie di decisioni senza senso assunte dal potere politico.
L’automotive è entrato in una fase di stagnazione
Il nuovo studio elaborato da ANIASA e Bain & Company non sembra lasciare molti dubbi su quanto attende l’industria automobilistica nel corso dei prossimi anni. Il periodo di sviluppo prolungato verificatosi nell’arco temporale tra il 2001 e il 2017, quando il tasso di crescita annuo composto si è attestato al 3,3%, è solo un lontano ricordo.

Già al momento, il mercato delle auto viaggia ad una andatura molto meno sostenuta, rispetto alla prima parte del secolo. Resa ancora più evidente dal fatto che mentre il PIL mondiale dava vita ad una risalita lenta, ma costante, la produzione di autovetture è invece stato protagonista un declino estremamente evidente, senza soluzione di continuità.
Un declino che è stato peraltro agevolato da problematiche come le difficoltà incontrate dalle catene logistiche internazionali e la carenza di semiconduttori a livello globale. Per effetto del saldarsi di questi fattori, si prevede che il tasso di crescita mondiale, da oggi al 2030, si fermerà ad appena lo 0,2%.
Anche la Cina sta per entrare in stagnazione
Se nell’arco temporale che va dal 2001 al 2017 è stata l’Asia (e in particolare la Cina) a guidare la crescita globale del settore automobilistico, oggi lo scenario è mutato in maniera abbastanza evidente. Tanto che per il periodo tra il 2017 e il 2030 è attesa una sostanziale stagnazione in Cina (+0,3%).
Una stagnazione cui si andrà a cumulare il declino dei mercati maturi, ovvero quelli di Giappone e Corea del Sud (-1,2%), Europa (-0,6%), Nord America (-0,4%). A compensare, ma in maniera insufficiente questo trend, l’emersione di nuove aree di potenziale espansione. Un novero in cui spiccano l’Asia meridionale (+2,7% di CAGR) e il Sud America (+1,5%), agevolate in tal senso dalla crescente urbanizzazione crescente e dal previsto miglioramento delle condizioni economiche locali.
Occorre poi sottolineare che rispetto alle previsioni risalenti al 2022, entro il 2028 il vecchio continente dovrebbe accumulare un gap di circa 15 milioni di veicoli. Un trend simile a quello del Nord America, ove lo scarto negativo si attesterà a quotai 7,5 milioni di unità. Dati i quali vanno a testimoniare un rallentamento strutturale della domanda tale da rischiare di rivelarsi alla stregua di un maglio su molti costruttori. In particolare quelli che sono più esposti nei mercati in flessione.
Il peso dei dazi di Trump
Naturalmente, il rapporto in questione tiene conto anche dei dazi di Trump. Cui le più esposte sono le case tedesche, che vedono in pericolo la metà dei propri volumi. Una situazione resa ancora più problematica dal fatto di trovarsi di fronte nello stesso momento le politiche commerciali difensive di molti Paesi, la stagnazione dell’Europa e il complicarsi del mercato cinese.
Mentre nel caso dei costruttori giapponesi e coreani, il problema si limita al mercato statunitense. Un mercato dove vantano una forte presenza, che li rende però estremamente vulnerabili ai dazi. Imposti dal nuovo POTUS per cercare di ridare slancio alla propria industria, reduce da un decennio di declino della propria manifattura.
Basti pensare, in tal senso, che nel periodo che va dal 1947 al 2023, i posti di lavoro della manifattura USA sono passati dal 30 all’8%, con il contributo al PIL crollato dal 25 al 10%. Il tutto mentre la Cina si stagliava all’orizzonte nella veste di dominus della produzione globale. Con un dato in grande evidenza, il controllo di più della metà della produzione globale di acciaio e navi conseguito nel corso del 2023.
Non saranno i cinesi a pagare i dazi USA
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, tra il 1947 e il 2023, l’occupazione manifatturiera è crollata dal 30% all’8% della forza lavoro, mentre il contributo del settore al PIL è sceso dal 25% al 10%. In parallelo, la Cina ha assunto un ruolo dominante nella produzione globale, controllando oltre la metà della produzione mondiale di acciaio e di navi nel 2023.

Nel 2024, sono comunque ancora gli Stati Uniti il primo mercato importatore di veicoli leggeri, dall’alto delle circa 5 milioni di unità che rappresentano il 23% del proprio fabbisogno interno. L’Europa segue a oltre 4 milioni, mentre Cina e Giappone hanno quasi conseguito la totale autosufficienza.
A ricoprire il fabbisogno USA sono in larga parte le case asiatiche, soprattutto Toyota, Hyundai e Kia. Quasi del tutto assenti i veicoli cinesi, tanto da rendere una misura di pura testimonianza i dazi contro di essi. E, di conseguenza, a pagare il peso delle nuove barriere commerciali potrebbero essere proprio i marchi giapponesi e sudcoreani. Che comunque hanno già provveduto a spostare una parte della propria produzione negli USA, in modo da attenuarne gli effetti.
In Italia non si compra più
Infine, la parte dell’indagine ANIASA – Bain & Company sulle abitudini di mobilità in Italia, ove si registra un deciso ritorno all’utilizzo dell’auto privata come strumento principale per gli spostamenti. Una tendenza che, però, non va ad impattare in maniera significativa sulle vendite di auto nuove. Sono infatti i veicoli usati a dare vita ad una forte crescita, derivante anche dalla perdita di potere d’acquisto dei salari italiani dopo l’introduzione dell’euro. Cui si vanno a sommare normative disorientanti e prezzi che continuano a lievitare.
Ne consegue, quindi, il progressivo invecchiamento del parco auto circolante. Cui si va a sommare una marcata propensione a cercare modelli convenienti. Aprendo così il varco ai modelli provenienti dalla Cina o dall’Asia.

Nel corso del primo trimestre del 2025, si fa notare l’aumento della quota spettante ai modelli ibridi, che hanno ormai raggiunto la metà del mercato. Confinando le BEV ad uno striminzito 5%, con risultati ancora meno significativi tra i privati e nella parte inferiore della penisola. Se gli EV mostrano segnali abbastanza timidi di ripresa, si tratta però di una tendenza limitata alle compatte. Stagnanti, al contrario, le auto di fascia alta.
Da sottolineare, peraltro, come la pratica scomparsa del diesel non abbia garantito reali benefici sulle emissioni medie di CO₂. Le quali continuano a navigare oltre i 115 g/km, livelli superiori anche a quelli del 2015.
Un andamento che, del resto, è molto simile a quello europeo, ove la diffusione delle BEV ormai da un triennio è ferma. Una tendenza che prosegue anche a dispetto dell’incremento dell’infrastruttura di ricarica, che secondo gli esegeti dell’elettrificazione era la base per tale evento.