L’incredibile Giorgetti: il taglio del Fondo Automotive è per non dare soldi alle auto cinesi

Dario Marchetti Autore
Il tutto mentre il governo pensa di portare aziende automobilistiche del Dragone in Italia
Dongfeng Fengxing Jingyi S50

Ormai la questione relativa al taglio di 4,6 miliardi di euro del Fondo Automotive somiglia ad una vera e propria pochade. Basta in effetti leggere le dichiarazioni rilasciate dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per avere l’impressione di essere a teatro, e non nel pieno di una crisi devastante dell’industria automobilistica, tale da mettere a repentaglio centinaia di migliaia di posti di lavoro in ogni parte dell’eurozona e non solo.

Il ministro leghista, infatti, ha rilasciato la seguente dichiarazione, di fronte alle domande sul taglio che ha seminato sconcerto non solo in Italia: “I fondi per chi accetta la riconversione ci sono e ci saranno, tagliamo i fondi per le rottamazioni di auto prodotte in Cina o in altri paesi”. A rendere il tutto ancora più incredibile è il fatto che il nostro Paese vorrebbe attirare investimenti cinesi proprio nell’automotive, per far fronte al vero e proprio collasso che si sta propagando da Stellantis all’indotto.

Fondo Automotive, ormai si va verso la burletta

“La situazione politica italiana è grave, ma non è seria”. Tanti conoscono il celebre aforisma di Ennio Flaiano, che pure lo aveva formulato nel corso di quella Prima Repubblica il cui personale politico si era formato nelle galere fasciste, in esilio o nella nella tempesta delle due guerre mondiali.

Giancarlo Giorgetti

Un aforisma che torna a risuonare di fronte alla non poco sorprendente uscita di Giancarlo Giorgetti, il responsabile dell’economia e delle finanze del governo guidato da Giorgia Meloni. A fronte della domanda relativa al taglio di 4,6 miliardi di euro dal Fondo Automotive, che ha scatenato le recriminazioni di aziende, sindacati e associazioni, il ministro ha infatti affermato che il motivo del taglio è da individuare nel fatto che non si vogliono dare soldi a chi produce auto in Cina.

Sarebbe sin troppo facile, a questo punto, ricordare che gli incentivi, il cui taglio è stato confermato ieri anche da Adolfo Urso, a sua volta responsabile per Imprese e Made in Italy, riguarda anche tutti gli altri marchi. I quali non saranno molto contenti di quanto sta accadendo, considerato che chiedono a gran voce nuovi incentivi per cercare di commercializzare auto che rischiano di restare sui piazzali di vendita.

Il punto vero, però, è che con questo genere di sparate, il governo italiano si taglia letteralmente i ponti con quelle aziende cinesi che pure vorrebbe portare in Italia. Magari qualcuno dovrebbe spiegare ai governanti italiani il significato del termine diplomazia, un’arte in cui erano specializzati i politici della Prima Repubblica, attenti a coltivare rapporti con tutti.

Dongfeng ha già dato forfait

Come è ormai noto, l’Italia era in trattative con Dongfeng per la costruzione di un sito produttivo del marchio lungo il territorio nazionale. Trattative che erano state salutate con favore in particolare dalle aziende dell’indotto ex Fiat, coinvolte nelle difficoltà sempre più evidenti di Stellantis. E proprio la vicenda Dongfeng avrebbe dovuto consigliare il massimo di prudenza, anche nei comportamenti.

Dongfeng Warrior M50

La casa cinese, infatti, ha dato forfait dopo un incontro al Ministero del Commercio di Pechino, nel corso del quale il governo ha chiesto alle proprie aziende di non investire in Europa. O meglio di non investire in quella parte di Europa che si mostra ostile di fronte alle auto elettriche del Dragone. Mentre si continua a guardare con grande interesse a quelli i quali, al di là delle divergenze ideologiche, non hanno alcuna remora ad accettare il fiume di denaro proveniente dalla Cina. Come l’Ungheria, ad esempio, ove il pragmatico Viktor Orban ha spalancato le porte a BYD.

L’Italia, al contrario, ha mostrato una capacità diplomatica praticamente nulla. Tanto da votare a favore di quei dazi contro le auto elettriche cinesi che sono evidentemente viste come il classico drappo rosso agli occhi del toro. E l’Italia è finita regolarmente infilzata nella questione Dongfeng. Non contenta, con le parole di Giorgetti rischia di vanificare anche le aperture di Chery e altri, interessati a stabilire rapporti con quella filiera automotive che rappresenta un gioiello per il Made in Italy. Ma, con tutta evidenza, al governo piace dare ragione al vecchio aforisma di Flaiano…

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