Auto italiana, il momento più buio di ogni epoca: colpa dei soldi

Ippolito Visconti Autore News Auto
Alfa Romeo, Lancia, Maserati: chi scrive si emoziona alla sola lettura di quei tre nomi. Icone planetarie inarrivabili, guardate con invidia da tedeschi, francesi, statunitensi e cinesi.
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Alfa Romeo, Lancia, Maserati: chi scrive si emoziona alla sola lettura di quei tre nomi. Icone planetarie inarrivabili, guardate con invidia da tedeschi, francesi, statunitensi e cinesi. Oggi, per motivi ignoti, non vanno come potrebbero, nonostante sforzi continui e vari progetti di diversa natura. Troppo facile, seduti in poltrona, dare la colpa a chi comanda in Stellantis. L’origine del male è il denaro. Sì, perché per un vero rilancio in grande, servono investimenti fortissimi, macchine simbolo, e la possibilità di aspettare anni affinché le novità entrino nel cuore degli appassionati. Inoltre, occorre un plus a livello di powertrain, con batteria a lunghissima autonomia e prestazioni di rispetto. Se la vettura nasce termica, seppure ibrida o ibrida plug-in, nasce vecchia e destinata a morire presto. Il management attuale va più che bene: date loro soldi in quantità industriale da investire, e poi ne riparliamo.

Solo la Cina ha le possibilità

Chi ha i soldi per fare questo? Solo i cinesi. Chi ha il talento per creare vetture degne di nomi come Alfa Romeo, Lancia, Maserati? Solo gli italiani. Quindi, un investitore cinese che creda ciecamente nei nostri connazionali. Quel che Geely ha fatto con Volvo. Chi ha la pazienza per attendere anni prima di valutare se un prodotto funziona? Questo non lo sa nessuno: improbabile che un cinese intenda sborsare fior di quattrini e non avere un tornaconto quasi immediato. Bisogna anche fare i conti con qualche flop a livello di vendite sul medio e lungo termine, in quanto il consumatore è ancora più inafferrabile e imprendibile di prima, stordito dall’Ue che mette i dazi anti Cina e dagli Stati che fanno di tutto per far entrare in cinesi da loro.

La parola d’ordine dev’essere identità. Ogni brand immediatamente riconoscibile, al volo, zero economie di scala. Deve divenire una bestemmia la definizione di “marchi generalisti che intasano il mercato di modelli simili sfruttando economie di scala, piattaforme modulari, linee produttive comuni”. No: ogni marchio abbia un carattere preciso. Il family feeling va preso e gettato alle ortiche. Si a elementi stilistici peculiari. Ok a operazioni di marketing con richiami storici purché ci sia anche contenuto a livello di design e qualità. Target: lavorare sul prodotto, non sulla finanza, senza assillo del quattrino da incassare in fretta. Il modello italiano dev’essere puro: nessuna contaminazione con modelli francesi. No alla ricarrozzeria per risparmiare. Urgono auto da film, divinità da adorare nei secoli dei secoli, immagini sacre. Status symbol partoriti da fantasia e creatività.

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Il polo italiano col denaro cinese

Non sarebbe male un unico cinese che compra tutt’e tre le Case: fa il polo dell’auto premium italiana di classe composto da Alfa, Lancia e Maserati. Elettriche, zero forme ibride di qualsiasi natura, neppure l’autonomia estesa col motorino termico. 

Sono marchi di difficile gestione? Sì. Difficilissima. Perché da un lato la massificazione a basso costo non fa per loro. Dall’altro la diversificazione rappresenta un costo fortissimo, una scommessa di un giocatore di poker che deve correre il rischio di perdere per quasi tutta la notte, per poi piazzare il colpo fenomenale a uno degli ultimi giri di carte all’alba, facendo saltare in aria gli avversari. Il caso più intricato è Maserati: vediamo Quattroporte, Ghibli e Levante ormai out, alcune coupé, la Grecale che non sfonda. Occorre rifare la gamma a nostro giudizio, con spese colossali. Si vada su supercar, mid-size Suv pregevole e una GT sexy. Tutto solo full electric. Progetti a lunghissimo termine.

E se proprio un cinese deve comprare quelle tre italiane, per cortesia non inglobi anche DS. Marchio eccellente, ma è francese. Scusate, con noi non c’entra nulla. Lo dice la storia.

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