Dopo la pressione della Germania, l’UE si persuade a eliminare il ban termico 2035. Imposto proprio da Berlino (con Paesi Bassi e Francia come ruote di scorta) nel 2019 col Green Deal sinistroide di ispirazione comunista: niente libertà di produrre, vendere e comprare benzina, diesel e ibrido. Da quel giorno a oggi, le ripercussioni sull’industria auto, sui lavoratori e sui consumatori sono state devastanti. Chi paga i danni dell’elettrico? Andiamo a vedere quali.
Disoccupazione automotive
Il primo disastro della lista non è il calo dei profitti delle Case, che comunque hanno margine per recuperare, riconvertirsi, andare all’estero: per esempio gli USA, terra della libertà di scelta basata su princìpi democratici. La piaga numero uno è la disoccupazione automotive diretta (fabbriche dei costruttori) e indiretta (l’indotto). Grosso modo fra i tagli di ieri e quelli in arrivo parliamo di 100 mila persone senza lavoro. Uno psicodramma sociale condito dalla barzelletta secondo cui l’elettrico crea occupazione.
Spallata al capitalismo
Che piaccia o no, in un sistema capitalistico è bene che gli imprenditori facciano soldi. A catena, ne beneficiano dipendenti e collaboratori. Appena c’è un profit warning, il CEO del Gruppo viene piazzato sulla graticola. Seguono sforbiciate a più non posso, con ritardi nei pagamenti. Il più piccolo resta quello zoppo, perché sarà l’ultimo a ricevere il bonifico, qualora resti qualche spicciolo.
Auto usata, prezzi folli
Col demoniaco sistema delle multe alle Case che vendono troppo auto a benzina e diesel, il listino del nuovo delle termiche è schizzato alle stelle: obiettivo, spingere a comprare elettrico. Così, il mercato dell’usato ha visto lievitare le quotazioni. Adesso per una caffettiera serve un patrimonio. Un disastro per il consumatore medio, che si indebita per una seconda mano di mediocre qualità.
Costo dell’energia: mix devastante
Al contempo, essendo l’automotive iper energivoro, le aziende fronteggiano bollette astronomiche perché non si compra più gas dalla Russia e per la storiella delle rinnovabili ultra verdi. Una seconda ragione per usare la forbice snellendo il personale. Disastro in accoppiata col tutto elettrico, in una sorta di bingo economico senza precedenti. Non si legifera mai contro i desideri del mercato, per poi rendere più caro costruire: un caos epocale. La destabilizzazione dei costruttori domestici ha – senza volontà – spianato la strada a competitor extraeuropei, anzitutto i cinesi. Che con l’elettrico sono imbattibili e diverranno ancora più forti.
La religione dell’auto elettrica in economia non rende
Trattasi di fallimento auto di un approccio che ha confuso l’obiettivo e il decreto per la trasformazione in elettrico. Quel numero nel secolo – 2035 – era un’icona, un simbolo, qualcosa di dogmatico e religioso. Siccome di mezzo ci sono i quattrini, le due cose non convivono serenamente. Si perde anche di autorevolezza sotto il profilo dell’immagine internazionale: da adesso, le scelte sull’auto e su qualsiasi altro settore faranno tremare i polsi.

La noia delle scuse
Nel frattempo, nel disperato tentativo di giustificare il flop elettrico, sentiremo le scuse bell’e buone delle lobby green: non è un cambio di rotta, ma di traiettoria; l’elettrico resta il futuro. I soliti annunci da dare in pasto a chi crede davvero che fare e disfare le batterie non inquini, e che per l’elettricità e le Gigafactory non servano carbone e acqua in quantità immensa.
Il tempo per curare le ferite
Alla luce di questa eliminazione dell’errore, da gennaio 2026 le vendite non schizzeranno alle stelle, non si abbasseranno i prezzi delle auto a benzina e diesel, non si tornerà a produrre e ad assumere. L’Europa automotive è ferita, e serve tempo per curare il male prima della ripresa.
