De Tomaso Vallelunga e Mangusta, il brand prima della cordata 2015

Walter Gobbi

Abbiamo parlato qualche giorno fa della De Tomaso, una società che adesso inizierà a produrre diverse auto sportive grazie ad una holding multinazionale e un nuovo piano industriale. La De Tomaso è stata fondata a Modena nel 1959 dal pilota italo-argentino Alejandro de Tomaso.

Già nel 1959, ottenuto prontamente l’appoggio finanziario dell’americana Rowan Controller Industries per il tramite della sua seconda moglie, la piccola officina di Alejandro divenne la De Tomaso Modena, assumendo nel proprio logo la medesima “T” utilizzata come marchio per il bestiame nella fattoria della ricchissima famiglia materna.

Il primo modello De Tomaso destinato alla circolazione su strada fu la Vallelunga, il cui prototipo con carrozzeria coupé venne studiato e realizzato dalla Carrozzeria Fissore di Savigliano, per essere presentato al Salone di Torino del 1964, dopo che un primo esemplare in versione spyder (rimasto unico) era stato realizzato nel 1962 e presentato nell’edizione del 1963. Questa innovativa macchina sportiva, la seconda vettura di serie al mondo ad essere dotata di motore centrale, fu dotata di un motore Ford Cortina a 78 kW ed aveva una velocità massima dichiarata di 215 km/h. Costruita in meno di 60 esemplari tra il tra il 1964 e il 1967[6], il suo progetto diede vita anche ad alcuni esemplari da competizione con carrozzeria barchetta come la Sport 2000 Fantuzzi Spyder, la Sport 5000 Prototipo, la Sport 5000 Fantuzzi Spyder (conosciuta anche come P70), la Competizione 2000 Ghia Spyder e la Sport 1000 Fantuzzi Spyder.

La sua auto più conosciutà e caratteristica è la De Tomaso Mangusta, una coupé prodotta tra il 1967 e il 1971 caratterizzato da un frontale liscio e in discesa.

Nelle intenzioni della casa modenese, il punto di forza e la principale caratteristica della Mangusta era il telaio monotrave in alluminio, ispirato a quello della Vallelunga e in pratica lo stesso della P70/Sport 5000 he prevedeva il motore posteriore centrale come elemento strutturale, come nelle auto da competizione degli anni settanta. A far da corollario al mono trave vi erano sospensioni indipendenti sulle quattro ruote, impianto frenante a quattro dischi a circuito sdoppiato e ruote in magnesio fornite da Campagnolo nelle misure 7×15″ anteriori e 8×15″ posteriori.  Il telaio modenese, accoppiato ad un pesante e potente motore Ford e rivestito con una leggera carrozzeria in acciaio con cofani e portiere in lega leggera, esacerbò i problemi di rigidezza già apparsi sulla Vallelunga  fece sì che la distribuzione dei pesi della vettura fosse tutt’altro che ideale, con uno squilibratissimo 32% all’anteriore e 68% al posteriore , e rese la dinamica di guida della Mangusta incerta e imprevedibile all’approssimarsi del limite di aderenza e non all’altezza della migliore concorrenza, anche se il rapporto peso/potenza le permetteva di rivaleggiare con la contemporanea Lamborghini Miura.

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