La Cina dice stop al doping per tirare su le vendite di auto elettriche e ibride plug-in: nel Piano Quinquennale 2026-2030 del Partito Comunista, BEV e PHEV non sono più parte di un’industria strategica. Dopo una montagna di miliardi di sussidi, sovvenzioni, incentivi, per creare la potenza dell’auto elettrica cinese nel mondo, adesso si inizia a fare sul serio. Dei circa 130 marchi in competizione, senza aiuti dello Stato, ne resteranno in vita pochissimi: solo i giganti, con profitti enormi.
Rivoluzione per l’auto elettrica cinese
Gli aiuti governativi sono una sorta di droga, senza la quale le elettriche si vendono molto meno. Tolto il doping, le BEV dovranno essere in grado da sole di conquistare i consumatori sia in Cina sia all’estero. A differenza dei precedenti cicli programmatici, il 15° Piano Quinquennale non contempla più il sostegno alle NEV (New Energy Vehicles), cioè BEV e PHEV essenzialmente. In 15 anni di pacchia per l’auto elettrica, c’è stato il boom. La chiusura dei rubinetti di Stato è dovuta anche al fatto che si producono troppe elettriche rispetto alla domanda. La Cina ha ben altri target, tipo le tecnologie quantistiche e la fusione nucleare.
Rischi per i numeri
Nel mondo, le elettriche vendono tanto solo in Cina. Qualcosa in Norvegia e Paesi Bassi, ma sono numerini che fanno sorridere. In Europa, col doping incentivi e con le km zero a drogare il mercato ancora di più, siamo a un triste 15%. E attorno al 5% in Italia, dove l’elettrico è come se non esistesse. Se perfino nel Paese orientale le targhe di BEV scendessero senza gli aiuti di Stato, per le lobby green e gli influencer sarebbe un dramma: già ora barano sui dati mettendo nel calderone BEV e PHEV per rendere le statistiche più corpose. In quanto agli USA, lì giustamente neppure vogliono sentir parlare di auto elettriche: con Trump, è il trionfo del termico, tale da attirare 13 miliardi di dollari di investimenti Stellantis decisi dal CEO Antonio Filosa.
L’elettrico alla prova dei fatti
Ora che l’auto elettrica è più sola che mai in Cina, dovrà dimostrarsi davvero forte. Per i produttori minori, la fine dei sussidi rappresenta un’ondata di gelo siberiano finanziario improvviso che porterà a una massiccia ondata di fusioni e acquisizioni. O al fallimento. Solo le aziende con una tecnologia superiore, catene di approvvigionamento ottimizzate e la capacità di esportare su navi cargo immense a prezzi competitivi potranno continuare a esistere. In più serve investire in fabbriche all’estero, specie in UE, per evitare i dazi di Bruxelles. Serviranno ancora più quattrini per l’innovazione reale, costringendo i produttori a offrire modelli che non necessitino di sconti statali per essere appetibili al grande pubblico.

L’Europa trema
Occhio ai mercati esteri: se i giganti cinesi abbassano i prezzi e alzano la qualità delle BEV per competere internamente senza sussidi, l’onda d’urto arriverà sui mercati europei. Mettendo ancora più pressione sui marchi occidentali. Che sono in gravissima difficoltà contro la superpotenza asiatica.
Con la mossa di Pechino, i produttori cinesi non ottengono massicci aiuti di Stato. L’indagine antisovvenzioni europea e i conseguenti dazi compensativi (che arrivano fino al 35,3% per alcune aziende, più il dazio base del 10%) restano in vigore, ma riguardano il passato. E fra poco inizieranno a stonare davvero.
