Ancora sei giorni di agonia in più per il settore auto europeo. La presentazione dell’importante “piano di salvataggio” Ue, inizialmente prevista per il 10 dicembre, è slittata al 16, ufficialmente perché “alcuni testi non sono ancora pronti”. Una spiegazione banale che, in realtà, nasconde la feroce battaglia geopolitica in corso a Bruxelles.

Il totem che sta facendo tremare l’Europa, come ben noto, è la fatidica scadenza del 2035, data che dovrebbe segnare la fine delle vendite di nuovi veicoli con motore a combustione interna.
La Germania, la cui economia è intrinsecamente legata alla salute di Volkswagen e BMW, ha lanciato l’allarme. Di fronte alla crisi della domanda di elettriche e ai costi energetici alle stelle, Berlino sta spingendo con forza per allentare o rinviare del tutto il bando Ue, in una disperata corsa per la sopravvivenza della sua base industriale, ancora impreparata a una transizione elettrica completa senza perdite significative.

Dall’altra parte del Reno, la Francia è più cauta. Parigi non è totalmente contraria agli aggiustamenti, ma la linea rossa è tracciata sull’industria dell’elettrico. Troppi investimenti nelle batterie sono stati fatti nel Nord per accettare un arretramento totale sui veicoli elettrici.
Per rabbonire gli animi, il pacchetto legislativo dovrebbe includere un “Battery Booster”, un fondo da 1,8 miliardi di euro destinato a stimolare la produzione europea di celle. Ma l’iniezione di denaro è solo metà della storia. Il vero nucleo della discussione è la “guerra del Made in Europe” contro i kit cinesi. Fino a che punto un’auto può essere considerata europea? I fornitori del settore automobilistico esigono regole severissime (anche al 75% di contenuto locale, batteria esclusa) per non trasformare l’Europa in un mero stabilimento di assemblaggio di componenti asiatici.
Per la prima volta nel 2025, la bilancia commerciale automobilistica europea con la Cina è entrata in deficit, raggiungendo i 2,3 miliardi di euro. Un crollo storico, se si pensa al confortevole surplus di 15 miliardi di euro registrato solo nel 2022. Le importazioni di componenti cinesi sono aumentate del 67% in quattro anni, e non solo: sette progetti di fabbriche cinesi sono stati confermati sul suolo europeo.
L’Ue deve agire subito, coimprendendo e gestendo efficacemente il fenomeno cinese (creato, se vogliamo, da decenni di colonizzazione occidentale a basso costo).
