Il caso Porsche è emblematico del dramma auto elettrica imposta dall’UE: un costruttore che macinava profitti da far invidia ai colossi, tanto da risultare una macchina da soldi del Gruppo VW, si trova adesso a vedere gli utili fortemente in ribasso. Perché le BEV sono un flop in Europa, e perché in Cina i marchi locali restano imbattibili. Senza dire dei dazi USA che pesano parecchio. La crisi di Cariad (la divisione software di Volkswagen) ha rallentato il lancio di modelli della società teutonica, dimostrando quanto il marchio sia vulnerabile su questo fronte. Sopravvivere significa internalizzare competenze sulle BEV che Porsche non ha mai posseduto nel proprio DNA.
Rivoluzione Porsche 2026 in più atti
- Il primo passo della rivoluzione 2026 Porsche è l’addio di Oliver Blume a Stoccarda: il passaggio del top manager al timone esclusivo del Gruppo Volkswagen da gennaio segna la fine di un’era e l’inizio di una trasformazione forzata per pura sopravvivenza. Fra le speranze lecite della Casa, anche una nuova legge, che permetta di usare gli e-fuel. La Commissione propone un taglio del 90% delle emissioni di CO2 per il 2035, con quel 10% da recuperare con acciaio verde, biofuel e – appunto – elettrocarburanti. Settore in cui l’azienda germanica svetta.
- Il secondo pilastro della trasformazione? Creare un ecosistema digitale che renda l’auto un’estensione dello smartphone del cliente. La rivoluzione culturale: Porsche deve smettere di considerarsi un semplice costruttore di hardware e diventare una tech-company del lusso.
- Terzo punto: l’azienda deve attrarre ingegneri informatici con la stessa facilità con cui un tempo attirava i migliori esperti di aerodinamica.
- Quarto: il marchio sta cercando di spingere ancora di più verso l’alto, entrando nel territorio di Ferrari con modelli in edizione limitata e programmi di personalizzazione estrema. Solo diventando un brand di ultra-lusso, potrà assorbire i costi della transizione tecnologica. La sopravvivenza del marchio dipenderà dalla sua capacità di mantenere la promessa di Ferdinand Porsche: “L’ultima auto costruita sulla Terra sarà una vettura sportiva”. Adattandola a un’epoca di elettroni, software e sostenibilità.
Questione finanziaria
Dalla sua IPO nel 2022, Porsche non risponde più solo alla famiglia Porsche-Piëch e al Gruppo Volkswagen, ma agli azionisti di tutto il mondo. Questo aggiunge una pressione: il mercato non perdona i cali di margine. Cercasi il modo di aumentare l’esclusività (e quindi i prezzi) mentre si ottimizzano i costi di una produzione elettrica che è intrinsecamente più costosa di quella tradizionale.

Il bivio del 2026: trionfo tecnologico o declino identitario
Il destino della rivoluzione Porsche si giocherà sulla sottile linea che separa l’innovazione radicale dal tradimento della propria storia, delineando due scenari opposti. Nello scenario di vittoria, la Casa riesce nell’impresa di umanizzare il software, rendendolo performante quanto un motore boxer. La tech company di Stoccarda diventa il punto di riferimento mondiale per l’integrazione tra lusso digitale e dinamica di guida. Gli investimenti negli e-fuel pagano, permettendo alla 911 di sopravvivere come icona termica carbon neutral, mentre la gamma SUV ed Executive domina il mercato elettrico grazie al sistema operativo proprietario.
Al contrario, lo scenario di sconfitta vede Porsche schiacciata tra l’incudine dei costi produttivi europei e il martello della velocità tecnologica asiatica. Perdipiù, le lobby green si impongono e resta il 100% di taglio di CO2 2035. Il marchio rischierebbe di trovarsi in una terra di nessuno: troppo costoso per competere con l’efficienza di BYD o Xiaomi, ma non abbastanza esclusivo per combattere contro Ferrari. Alla fine, se davvero le cose andassero male, ci sarebbe sempre l’opzione Difesa: immaginiamo un futuro nel settore degli armamenti iper tecnologici.
