Stando a Motus-E, i punti di ricarica a uso pubblico installati in Italia al 31 marzo 2025 sono 65.992, in aumento di 11.828 unità nei 12 mesi e di 1.601 unità dall’inizio dell’anno. Tuttavia, aggiungiamo noi, restano due guai. Uno, il numero enorme di colonnine scollegate alla rete per misteriosi motivi burocratici (quei punti è come se non ci fossero): il 15,8%. Bisogna velocizzare le procedure autorizzative e aumentare la partecipazione dei diversi soggetti coinvolti nel processo: sì, ma c’è il mostro amministrativo da affrontare. Non è facile, fra Enti locali, sopraintendenze, gestori di vari servizi. Due, le stazioni devastate dai ladri per rubare il rame. Sicché ne restano molte meno. Togliamo il 15,8%: 10.427 in meno. Totale 65.992. Da queste 65.992 togliamo quelle vandalizzate o sfasciate dai ladri. Che sono una quantità enorme e in costante crescita: è sufficiente fare un giretto per Roma e per Milano. Quante ne restano? Di certo, il numero precipita.
Colonnine di ricarica: le notizie buone
“Grazie all’impegno e ai massicci investimenti degli operatori della ricarica, l’infrastrutturazione del Paese per la mobilità elettrica ha raggiunto la Fase 2 – dice il presidente di Motus-E, Fabio Pressi -. Dopo l’enorme crescita dei punti di ricarica degli ultimi anni, che ci pone tra i migliori in Europa in rapporto ai km di rete stradale e al circolante elettrico, l’obiettivo ora è ripartire da questa solida ossatura per continuare a installare e a migliorare l’esperienza di ricarica a 360° gradi, lavorando sugli hub ad alta potenza e sulla capillarità e omogeneità della rete, con particolare attenzione alle differenti esigenze territoriali, accelerando al tempo stesso l’implementazione di tecnologie sempre più evolute al servizio degli automobilisti”.

In autostrada non bastano secondo noi
I punti di ricarica sulle autostrade si attestano al 31 marzo a 1.108 unità (dalle 942 del marzo 2024 e le 559 del marzo 2023), di cui l’86% è di tipo veloce in corrente continua e il 64% supera i 150 kW di potenza. Il 45,5% delle aree di servizio autostradali è dotato già di infrastrutture per la ricarica. La crescita c’è, ma non è sufficiente. Lo dimostrano anche le vendite davvero deboli di elettriche in Italia, con un circolante ridicolo: neppure 300.000 full electric. Chiaro che sia necessario anche un piano di incentivi pluriennale e corposo.
Paese spaccato: top cinque Regioni per numero di punti di ricarica
1) Al solito, la Lombardia continua a essere la prima nella classifica delle Regioni con più punti di ricarica (13.306, +3.148 negli ultimi 12 mesi)
2) Lazio (7.040 punti, +1.899 nei 12 mesi)
3) Piemonte (6.351 punti, +510 nei 12 mesi)
4) Veneto (6.031 punti, +864 nei 12 mesi)
5) Emilia-Romagna (5.225, +709 nei 12 mesi)
Zero dal Sud Italia, molto indietro, sebbene in salita.
Top cinque Province per numero di punti di ricarica
1) Roma si attesta nuovamente al primo posto per punti di ricarica installati (5.605 punti, +1.599 nei 12 mesi)
2) Milano (4.414 punti, +1.168 nei 12 mesi)
3) Napoli (3.046 punti, +367 nei 12 mesi)
4) Torino (2.903 punti, +474 nei 12 mesi)
5) Brescia (1.867 punti, +267 nei 12 mesi)
Anche qui, niente Meridione, che va aiutato stanziando tante risorse.
Auto elettrica in Italia: figuraccia in Europa
A marzo 2025, in generale, per tutte le motorizzazioni, l’Italia si colloca al 3° posto in Europa per volume totale (fonte dati Unrae). Per quanto riguarda le auto con la spina (ECV), ossia BEV elettriche più PHEV ibride plug-in, il Belpaese resta invece fanalino di coda, nonostante la quota sia in crescita rispetto al 2024. Il 9,8% italiano (BEV 5,4% e PHEV 4,4%) dista anni luce dal 28,9% del Regno Unito (BEV 19,4% e PHEV 9,5%), dal 27,3% della Germania (BEV 16,8% e PHEV 10,5%) e dal 24,4% della Francia (BEV 19,0% e PHEV 5,4%), ma anche la Spagna fa meglio con le ECV al 14,1% (BEV 6,9% e PHEV 7,2%). Che figuraccia.
D’altra parte, l’Italia non ha né un piano di sostegno pluriennale alla domanda di elettriche né un programma vincolante per il parallelo e capillare sviluppo delle infrastrutture di ricarica. Non è questione di governo Meloni: con altri esecutivi, la situazione era analoga. Idem per la revisione del regime fiscale delle auto aziendali quale fattore abilitante per lo sviluppo della nuova mobilità: non si parla di maggiore detraibilità dell’IVA e deducibilità dei costi con riduzione del periodo di ammortamento a tre anni.