Il dibattito sull’addio ai motori a combustione interna sembra seriamente una telenovela infinita, e la Germania recita sempre il ruolo da protagonista. Il Cancelliere tedesco Friedrich Merz ha rilanciato l’idea di difendere i propulsori tradizionali anche dopo il 2035, nonostante l’Unione Europea abbia già fissato la data come spartiacque per la neutralità climatica delle nuove auto.
Secondo i regolamenti comunitari, tra circa dieci anni le flotte dovranno rispettare un livello di emissioni di CO2 pari a zero. Come i costruttori ci arriveranno è affar loro, ma per la stragrande maggioranza degli esperti significa una sola cosa: fine dei benzina e dei diesel. Non tutti, però, sono pronti a salutare il rombo dei pistoni. La Germania può davvero rappresentare, come spesso accade in Europa, l’ago della bilancia.

Merz insiste che anche soluzioni intermedie, come ibridi e sistemi range extender, meritino ancora spazio. Una posizione che trova sponde politiche non solo nella CDU (il centro-destra tedesco), ma anche in altri fronti. Markus Söder, governatore bavarese e leader CSU (nel centro-sinistra), ha addirittura messo nero su bianco un piano in dieci punti in cui ribadisce che i “motori a combustione moderni” devono sopravvivere all’ondata elettrica.
Lo sappiamo bene, non è solo un capriccio politico, non è una questione di destra o sinistra, è una faccenda che può muovere (nel bene o nel male) molti miliardi di euro. Parliamo, d’altronde, della potentissima industria automobilistica tedesca che spinge da tempo per mantenere in vita almeno alcune varianti termiche, magari alimentate con e-fuel.
La SPD, la sinistra, persino lei, ufficialmente più allineata alle direttive europee, appare meno compatta di quanto sembri. Olaf Lies, presidente della Bassa Sassonia, non nasconde le proprie simpatie per carburanti sintetici, plug-in e tecnologie miste. Insomma, un partito spaccato tra chi vuole spingere sull’elettrico e chi teme di bruciare il legame con un settore industriale che rappresenta ossigeno per milioni di posti di lavoro. E la Germania non può permetterselo, sia perché si tratta del centro nevralgico europeo, sia perché… è la Germania.

E mentre i leader si accapigliano, il calendario non si ferma. La decisione europea sul phase-out del 2035 resta sul tavolo, e a Bruxelles difficilmente qualcuno avrà voglia di riscrivere le regole del gioco solo per placare i malumori tedeschi. Anche se, di solito, si dice che a comandare ai tavoli dell’Ue siano sempre Francia e Germania. E questa sarebbe anche la volta buona che questa dinamica funzionasse.
Intanto, i consumatori osservano confusi, sospesi tra la promessa di un futuro elettrico e il rischio di una transizione zoppa. Per il momento, però, l’unico motore che gira a pieno regime sembra quello del dibattito politico.