BMW ha deciso di fare dell’HVO100 il pilastro della sua “transizione energetica” per i modelli esistenti. Da gennaio, infatti, tutti i modelli diesel prodotti negli stabilimenti tedeschi lasciano la fabbrica con il serbatoio riempito di questo particolare carburante rinnovabile. L’obiettivo dichiarato è consentire ai circa 250 milioni di veicoli diesel che scorrazzano per l’Europa di ridurre le loro emissioni senza modificare un bullone.
Questo HVO (idrogenato da oli vegetali, grassi animali o oli da cucina usati) è la soluzione razionale che si scontra con i divieti europei e che è sposata dalla casa bavarese. I dati sono sorprendenti: il diesel rinnovabile riduce le emissioni di CO2 dal 50 al 90%, considerando l’intero ciclo di vita, e taglia il particolato fino al 65%. Per BMW, non sono necessarie modifiche né alle auto né all’infrastruttura. Sembra meraviglioso, un esempio per tutti quanti, no? E invece non è il futuro secondo l’Ue.

Questa posizione di “neutralità tecnologica” è in perfetta sintonia con la linea adottata in Germania, dove il Cancelliere Friedrich Merz e le case automobilistiche locali spingono apertamente per revocare il divieto Ue sulla vendita di motori a combustione interna entro il 2035.
La compatibilità con l’HVO100 non è un’esclusiva BMW: anche Dacia, Renault e Toyota offrono motori compatibili. Stellantis, per non essere da meno, ha confermato che l’intera gamma di autovetture e veicoli commerciali leggeri (standard Euro 5 e superiori) è compatibile con il biodiesel. Il gruppo ha persino lanciato un programma ad hoc, “HVO Aurora”, per supportare le flotte aziendali nella decarbonizzazione rapida e offrire un compromesso.

Tuttavia, il sogno dell’HVO100 ha un prezzo e qualche ostacolo burocratico. Il costo del carburante è circa il 35% superiore a quello del gasolio fossile e la difficoltà di reperimento su strada è un problema serio, nonostante alcuni distributori stiano cercando di installare più stazioni.
Il paradosso sta anche nella tassazione. In Francia, ad esempio, il biodiesel non beneficia di alcun regime fiscale specifico, restando tassato come un combustibile fossile. Una situazione che riduce l’incentivo economico all’uso di un carburante che potrebbe rappresentare una soluzione almeno a breve termine. Tutto questo fermento si svolge in trepidante attesa della decisione finale di Bruxelles sul divieto del 2035. Il diesel “pulito” potrebbe essere la scappatoia perfetta.
