In un’Italia che arranca fra i big europei in tema di auto elettrica (5% di quota, siamo ultimi), il governo Meloni aveva un’occasione per dare ossigeno a un settore in piena crisi: 597 milioni di euro di ecobonus auto elettriche entro fine giugno 2026. Usciti dal Piano di ripresa, perché i soldi – prima destinati alle colonnine veloci – non era stati usati (bandi andati tristemente deserti). La nostra nazione aveva a disposizione un calcio di rigore a porta vuota, ma si è complicata la vita da sola.
Incentivi auto elettriche 2025: pieni di vincoli e troppo articolati
- L’intervento è destinato a persone fisiche e microimprese con residenza o sede legale nelle aree urbane funzionali (città oltre i 50.000 abitanti e area di pendolarismo).
- Sarà necessario rottamare un veicolo termico fino a Euro 5.
- L’incentivo sarà riconosciuto alle persone fisiche per l’acquisto di un’auto elettrica (categoria M1), con un contributo di 9.000 o 11.000 euro in base al valore ISEE.
- Bonus alle microimprese per l’acquisto di veicoli elettrici commerciali (categorie N1 e N2), fino a un massimo di 20.000 euro per veicolo, nel limite del 30% del prezzo di acquisto e nel rispetto della normativa “de minimis”.
- Sono 11 mila euro di incentivo per chi ha un Isee al di sotto dei 30 mila euro; 9 mila euro per chi ha un Isee tra 30 e 40 mila euro.
- Prezzo di listino massimo di 35 mila euro IVA esclusa. Nel conteggio non vengono inclusi optional a pagamento. Il tetto massimo di spesa, IVA inclusa e senza optional, è di 42.700 euro.
Registrazione?
A prenotare il bonus dovrà essere l’intestatario del veicolo da rottamare, che deve possederlo da almeno sei mesi. Per accedere agli incentivi servirà presentare sulla piattaforma dedicata un’autocertificazione sulla residenza in un’area urbana funzionale, in aggiunta alla targa del veicolo da rottamare.

I bonus devono essere per tanti e facili
Un meccanismo per pochissimi. Davvero difficile che – con ISEE così bassi – si comprino BEV carissime. Le quali restano costose pure col bonus. Il sistema è cervellotico. Col price cap basso.
Per una volta che c’è un bel gruzzoletto, tale da prendere una boccatina d’aria in campo aperto, ci si va a infilare in un corridoio pieno di ostacoli. Hai il calcio di rigore a porta vuota e – anziché piazzarla di piatto – ti giri e cerchi il colpo di tacco bendato. Chissà poi se i quattrini verranno del tutto spesi entro fine giugno 2026: sono 597 milioni.
Inoltre, oggi non c’è nessun bonus: fra annuncio e implementazione, il lasso temporale è gigantesco. Il che paralizza il mercato, drogato da auto a km zero che rendono le statistiche vuote. Sorvoliamo sul fatto che il ministero delle Imprese abbia detto: incentivi inutili, da abolire.
Avremmo preferito una strategia pianificata su almeno tre anni, con campagna di bonus facile: entri in concessionaria, non fai nulla, esci con lo sconto statale di 15.000 euro.
C’è il silenzio poi su detraibilità IVA e deducibilità dei costi basata sulle emissioni di CO2 e la riduzione del periodo di ammortamento in materia di auto aziendali: società e compagnie di noleggio hanno i quattrini per macchine così care, non i privati, specie quelli con ISEE così basso.
E poi il pieno di elettroni dove lo fanno, e a che prezzo?
Ci sarebbe da agire anche sul prezzo del pieno alle stazioni: gli elettroni costano una fortuna. E comunque, siamo messi male come colonnine. Posizione numero 16 in Europa per capillarità della rete di ricarica: 12,7 punti di ricarica ogni 100 km di strade, rispetto ai 18,4 punti della media europea. Dei 57.900 punti di ricarica installati, il 12% risulta non operativo. In quanto al Sud Italia, è dimenticato sotto il profilo della mobilità BEV. Non si vede perché una persona con ISEE basso e senza wallbox né possibilità di installarla debba comprare una BEV se il pieno elettrico è un seccatura: poche stazioni e costo dell’energia mostruoso.