I Gruppi auto sono alle prese con la questione Italia: cinque guai

Vediamo perché il mercato auto italiano nel 2025 rappresenta un bel problema per i costruttori.
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Tiene banco la questione Italia, caso unico fra i big d’Europa. I problemi sono cinque, a nostro avviso.

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1) Solo il 5% di quota elettrica contro una media continentale del 15%.
2) Poche colonnine piazzate coi soldi dell’Europa: il bando di 600 milioni di euro PNRR è andato deserto. Soldi girati a futuri ecobonus.
3) I frequenti annunci di incentivi paralizzano il mercato elettrico: fra le parole del politico e l’atto effettivo passano settimane, mesi, in cui nessuno compra full electric a 30.000 euro quando sa che domani acquisterà a 20.000 euro. Il fenomeno genera un’attesa prolungata che blocca le vendite impedendo al mercato di stabilizzarsi e di crescere in modo organico, e non permettendo alle Case di fare campagne di ampio respiro.
4) Al Sud, Regioni e Comuni non spingono a comprare elettrico, in quanto i blocchi del traffico e le ZTL anti auto vecchie sono pochi: per questo nel Meridione le diesel over 10 anni fanno boom.
5) Il nostro parco auto invecchia ed è sempre più inquinante: solo 300.000 full electric viaggianti.

Multe di 16 miliardi di euro alle Case che inquinano troppo

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In base al Green Deal 2029, le Case che vendono auto troppo inquinanti pagano in totale 16 miliardi di euro di multe all’UE. L’Italia è uno di quei Paesi a rischio: da noi, si vendono parecchie macchine con CO2 elevata. Pertanto il calo delle emissioni c’è, ma lieve, lento (grafico Unrae in basso). Roviniamo la media delle emissioni con quel misero 5% di elettrico. È un po’ come una pagella piena di voti sopra la sufficienza fra il 6 e il 9, con una materia dove viene appioppato un 2: media distrutta.

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Mega sconti elettrico

Per evitare le multe, le Case praticano sconti fortissimi sulle elettriche in Italia, purché siano vendute. O ricorrono alle km zero: autoimmatricolazioni affinché si raggiungano determinati target. Ma questo meccanismo – con profitti risicati – regge sul breve, non sul medio termine, tantomeno sul lungo.

L’alternativa è formare alleanze di emissioni (pool). Questo permette a un produttore con una media di emissioni più alta di acquistare crediti di CO2 dai virtuosi: cinesi e Tesla. Ma tutto questo costa.

Confusione Italia sull’elettrico

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L’altroieri il ministro delle Imprese impostava gli incentivi auto elettriche. Ieri lo stesso ministero ha detto che i bonus sono inutili. Poi arriva il ministero dell’Ambiente, elimina i fondi per le colonnine, piazza i bonus per le elettriche che erano stati tolti dal ministero delle Imprese. Dal flop del bando punti di ricarica fai nascere un figlio, i bonus auto elettriche, figlio non voluto dall’altro ministero. Così però si segue sempre una sola strada: o auto o colonnine. Invece le due vie dovrebbero essere parallele. In più, resta quel 15-20% di colonnine scollegate, vandalizzate, coi cavi di rame tagliati.

Potrebbe pensarci l’UE

Bruxelles è al corrente della questione auto elettrica in Italia. Siccome il governo Meloni si pone come traguardo 4,3 milioni di elettriche circolanti nel 2030 rispetto alle 300.000 attuali, allora l’UE consiglia al nostro Paese di tassare le benzina e le diesel. Per tassarle, hai due strade.

1) Più bollo auto, tassa di proprietà alla Regione. Oggi siamo a sette miliardi di euro l’anno.
2) Più accise su benzina e diesel. Qui non si scappa: zero evasione, in quanto fai il pieno e paghi sia le accise sia l’imposta sulle tasse, ossia l’IVA al 22%.

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Per ora, non c’è nessuna intenzione d’introdurre un sistema premiale legato alle emissioni, intervenendo su detraibilità IVA, deducibilità dei costi e periodo di ammortamento. Al massimo, c’è stato un intervento sui fringe benefit auto aziendale: sì, ma alla fine si pagheranno più tasse. Il target di un maggior numero di macchine aziendali elettriche non viene raggiunto. Magari, in futuro le cose cambieranno se l’UE imporrà flotte elettriche, soluzione vincente per scavalcare il problema dei privati che non comprano elettrico. 

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