La produzione delle batterie per veicoli elettrici, ormai considerabile un settore ad “alto rischio di spionaggio”, è stata scossa da un clamoroso caso di fuga di informazioni su una tecnologia fondamentale che coinvolge il colosso sudcoreana Samsung SDI. La Procura Distrettuale della città coreana di Suwon ha recentemente rinviato a giudizio un gruppo di persone accusate di aver rubato e tentato di vendere all’estero disegni tecnici e componenti contenenti la tecnologia di base sviluppata dal colosso.
L’accusa ha incriminato il gestore di una società quotata al KOSDAQ, e altri tre individui assieme a undici complici. Queste persone sono dunque accusate di aver fatto trapelare segreti commerciali cruciali e dati fondamentali di Samsung SDI e dei suoi partner di primo livello tra l’ottobre 2022 e il febbraio di quest’anno. I dati rubati sarebbero stati utili nel tentativo di massimizzare il profitto dell’operazione di furto stessa, oltre che offerti ad aziende di batterie secondarie in Vietnam e Cina.

Il “bottino” non è di poco conto. La tecnologia trafugata, sviluppata da Samsung SDI in un decennio con ingenti investimenti, riguarda i componenti essenziali delle batterie prismatiche, i cosiddetti “mattoni” agli ioni di litio. Questi non sono semplici involucri, ma elementi di sicurezza importantissimi. Il “can” è progettato per prevenire danni da impatti e bloccare l’escalation di esplosioni, mentre il “gruppo tappo” agisce come un salvavita, interrompendo la corrente e rilasciando gas in caso di picchi di temperatura o pressione interna, prevenendo incendi ed esplosioni.
Si è scoperto che le spie avevano un accesso privilegiato ai dati tecnici in virtù del loro attuale o passato impiego presso le aziende partner di Samsung SDI. Le indagini della Procura, supportate dal National Intelligence Service, hanno portato al recupero di prove compromettenti da telefoni cellulari, registri di chat e registrazioni di chiamate. Il colpo, però, sarebbe fallito proprio all’ultimo passo prima del traguardo criminoso.
Utilizzando la tecnologia rubata, l’azienda coinvolta aveva firmato un contratto di fornitura da ben 80 miliardi di won coreani con un’azienda cinese. Tuttavia, i componenti non sono mai arrivati alla consegna perché gli accusati sono finiti in manette prima.

Nonostante i dati tecnici fossero presentati a fini commerciali, l’accusa ha stabilito che non erano ancora utilizzati per la produzione in serie all’estero. Un funzionario della Procura ha sottolineato la gravità del crimine: se la produzione di massa fosse iniziata, avrebbe causato “danni irreversibili all’industria nazionale delle batterie per veicoli elettrici”, oltre alle ovvie e significative perdite finanziarie per le aziende danneggiate a catena.
