Il biocarburante italiano perderà sempre finché conteranno solo le emissioni allo scarico

Il biocarburante italiano è destinato a soccombere nell’UE, dove esiste la fissazione per le emissioni allo scarico. Bisogna analizzare in modo obiettivo il ciclo vita.
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L’Italia pressa l’UE in tema di neutralità tecnologica: intende far sì che i biocarburanti (settore in cui il nostro Paese è forte, con ENI) siano presi in considerazione dall’Unione Europea. Ma perché Bruxelles fa sempre perdere il biodiesel nostrano? Semplice: ci risponde che il biocarburante prevede emissioni allo scarico dell’auto, e pertanto viene visto come il demonio. Qui sta il guaio. Occorre che l’UE esamini le emissioni durante l’intero ciclo vita, dalla nascita alla morte, scarico incluso. Serve che questo valga anche per le batterie delle auto elettriche. Solo così il biocarburante ha modo di giocare la propria partita e vincerla. Al massimo, l’UE prende in esame l’e-fuel che la Germania ama.

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Emissioni allo scarico versus analisi del ciclo di vita 

LCA, Life Cycle Assessment: analisi del ciclo di vita, ecco il motivo delle differenze tra l’approccio italiano e quello predominante a Bruxelles. Saremo pure faziosi, ma la posizione del nostro Paese è corretta, quella UE gravemente sbagliata. D’altra parte, se prevalesse la mentalità da LCA, il giorno dopo le batterie sarebbero tutte da buttare, essendo un peso tremendo per l’ambiente, con inquietanti interrogativi sulle modalità di smaltimento e sui controlli in merito. E allora cadrebbe il castello di carta.

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Una fisima, quella di focalizzarsi sulle emissioni dirette dal tubo di scarico dei veicoli che favorisce le BEV, le quali hanno emissioni zero al punto di utilizzo. Per i biocarburanti, anche se derivano da fonti sostenibili, il fatto che la loro combustione produca comunque emissioni allo scarico li penalizza. L’Italia, con aziende come ENI, ha investito nello sviluppo e nella produzione di biocarburanti avanzati, posizionandosi come leader. Così, il Belpaese sostiene che non si dovrebbe privilegiare una singola soluzione, ossia l’elettrico.

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Cosa conteggiare per i biocarburanti

  1. Produzione. Emissioni legate alla coltivazione delle biomasse (fertilizzanti, macchinari), alla loro trasformazione in carburante e infine al trasporto.
  2. Utilizzo. Emissioni allo scarico. Per i biocarburanti, bilanciate dalla CO2 assorbita dalle piante durante la crescita, rendendo il bilancio quasi neutro.
  3. Fine vita. Nessuna emissione, in quanto non ci sono residui da smaltire in modo problematico come nel caso delle batterie.

Cosa conteggiare per le auto elettriche

  • Produzione. Emissioni enormi legate all’estrazione delle materie prime per le batterie (litio, cobalto, nichel): più lavorazione, più produzione delle batterie stesse.
  • Utilizzo: Zero emissioni allo scarico, ma emissioni indirette legate alla produzione dell’elettricità. Le fonti rinnovabili? Tutta teoria. Il carbone produce l’elettricità.
  • Fine vita. Impatto legato a smaltimento e riciclo delle batterie, un processo complesso, ad alta intensità energetica, con verifiche che sarebbero da monitorare con la massima attenzione.

Biodiesel HVO (Hydrotreated Vegetable Oil): cos’è

HVO sta per Hydrotreated Vegetable Oil, olio vegetale idrotrattato. Non è un biodiesel tradizionale (come il FAME – Fatty Acid Methyl Esters), ma un biocarburante avanzato prodotto tramite un processo chiamato idrogenazione (o hydrotreating). Deriva da materie prime rinnovabili, e in particolare da quelle che non competono con la filiera alimentare. Ossia olio di frittura usato, grassi animali di scarto, biomasse derivate da rifiuti organici, sfalci agricoli e forestali, oli vegetali non-food (come la colza o il girasole, se prodotti in modo sostenibile).

Il processo di hydrotreating trasforma le materie prime in idrocarburi, rendendo l’HVO chimicamente tale da avere elevata compatibilità con i motori diesel attuali. Può essere utilizzato puro nei motori omologati per il suo utilizzo (sempre più veicoli sono validati per HVO); o miscelato al gasolio fossile in diverse percentuali. Non richiede modifiche al motore o all’infrastruttura di distribuzione. Contribuisce a ridurre le emissioni di inquinanti come il particolato, gli ossidi di carbonio e gli idrocarburi incombusti.

Il mito dell’impatto zero: i problemi dell’HVO

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L’essere umano, quando si muove, inquina. Perfino in bici, alzando polveri e frenando. Quello dell’impatto zero è un mito green, una favoletta da propinare nel web e nei social. Utile per fare lobby e generare business immensi. l biocarburanti presentano svantaggi, pertanto, come è giusto dire. Il processo di idrogenazione è tecnologicamente più complesso e costoso rispetto alla produzione del biodiesel FAME. C’è poi la necessità di investire in impianti di raffinazione specifici e la complessità dei catalizzatori utilizzati contribuiscono a mantenere i costi alti. La disponibilità globale delle materie prime è limitata. Potrebbe infine emergere una pressione sulle coltivazioni alimentari se le fonti di scarto non fossero sufficienti. La perfezione a questo mondo deve ancora essere creata.

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