Dopo il flop elettrico europeo e la disfatta in Cina per Porsche, Oliver Blume lascia il ruolo di CEO della Casa di Zuffenhausen, concentrandosi su quello di amministratore delegato del Gruppo Volkswagen: stop al doppio incarico, come da desiderio della controllante VW. Per Stoccarda, in pole position Michael Leiters, ex McLaren e Ferrari.
Rivoluzione Porsche: perché
Come sono andate le cose? Protagonista il Presidium del Consiglio di sorveglianza: un comitato ristretto, interno al massimo organo amministrativo. Questo ha dato un incarico al presidente Wolfgang Porsche. Ossia tenere colloqui con Blume in merito a una sua uscita anticipata e concordata dal Consiglio di gestione. Leiters ha dato la sua disponibilità: pertanto, saranno avviate trattative per la sua assunzione.
Il doppio ruolo di Blume ha attirato forti critiche per il peggioramento delle performance finanziarie Porsche. Qualcuno non ha gradito affatto che l’azienda abbia tagliato quattro volte i target sugli utili annuali. Durante i tre anni del doppio ruolo, le azioni di Volkswagen sono scese di oltre un terzo, mentre il titolo Porsche è sceso di oltre la metà. Penalizzata dal calo del mercato azionario dal momento della sua quotazione tre anni fa, la Casa di Stoccarda è uscita dal DAX blue-chip il mese scorso.
Profitti giù, sono guai
L’andazzo era mal digerito da investitori, azionisti di riferimento (le famiglie Porsche e Piëch) e rappresentanti sindacali. La più diretta è stata Daniela Cavallo, donna di grande personalità (che farebbe molto comodo in Italia), presidente del Consiglio di fabbrica del Gruppo Volkswagen: “L’amministratore delegato non può essere un capo part-time a Wolfsburg e trascorrere il resto del suo tempo in Porsche”.
Blume era amministratore delegato Porsche dall’autunno 2015, succeduto a Herbert Diess al timone del Gruppo nel 2022 grazie al sostegno degli eredi Porsche-Piëch: lavorava tre giorni a settimana a Wolfsburg e altri tre giorni a Zuffenhausen. Come sempre in questi casi, quando la situazione volge al peggio sotto il profilo economico, si prendono decisioni.

Michael Leiters, patata bollente Porsche
Se Leiters diventasse CEO Porsche, dovrebbe gestire una situazione delicatissima. In Europa, nessuno vuole l’auto elettrica, col 15% di quota mercato pompata dalle km zero e quindi farlocca. Si resta in attesa di chissà quali decisioni sul ban termico 2035, che la Germania non vuole più. Proprio Berlino aveva imposto il Green Deal BEV 2019, e ora fa retromarcia con l’esercito di disoccupati automotive per strada in terra teutonica. La Cina era, è e resterà inavvicinabile: i marchi cinesi sono troppo forti per tutti, con tecnologie sofisticatissime e predominio nelle batterie. Per esportare in USA, si pagano dazi pesantissimi. Ci sarebbe la possibilità di tornare sulle supercar termiche, al massimo ibride: gli amanti del lusso prediligono vetture ultra sportive a benzina. Ma se Bruxelles insiste col tutto elettrico 2035, gli investimenti per i motori a combustione hanno una fine. Contesto complicatissimo, come mai nella storia Porsche.
Leiters raccoglierebbe i cocci di una gestione criticata, avendo innanzi a sé una sfida epocale: bilanciare la transizione elettrica imposta dalle normative col desiderio dei clienti per le motorizzazioni tradizionali, o al massimo PHEV ad altissime prestazioni. La decisione sulla futura gamma sarà il suo primo banco di prova.