Stellantis: l’ultima beffa di John Elkann all’Italia

M Magarini
L’Italia ha smesso di essere un Paese per auto? L’ultimo tiro mancino rifilato da John Elkann con Stellantis fa male al Paese
Stellantis

Non sorprende la durezza di Carlos Tavares, CEO di Stellantis, nel minacciare la chiusura degli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano d’Arco qualora il governo italiano eviti di intervenire per la produzione di auto elettriche. Semmai si potrebbe dire l’esatto contrario: l’uscita allo scoperto era nell’aria. Restava da capire quando e con quali modalità. La logica applicata dal CEO è tipica di un’azienda tutta votata a un approccio razionale, sui freddi numeri, senza lasciarsi prendere dai sentimentalismi. In un settore altamente competitivo come l’automotive mettersi una mano sul cuore è un deterrente. Per raggiungere gli obiettivi aziendali è necessario tirare dritto, incuranti delle ricadute su specifici territori o nazioni.

Stellantis: l’Italia non è più un Paese per auto

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Gli affari sono affari, niente di personale. Sulla presa di posizione della società pesano poi le risposte da dare agli azionisti, spinti dalla logica del mero profitto. L’unica realtà discordante è costituita dallo Stato francese, che, ovviamente, ci tiene al benessere dei cittadini. La dislocazione dei progetti di lavoro sul suolo transalpino significa occupazione su buoni livelli, tasche piene delle famiglie e ripagare della fiducia accordata in campagna elettorale. L’ingresso nel capitale azionario risale al passato, in un momento particolarmente delicato nella storia di Peugeot. Ritrovandosi sull’orlo del precipizio, la Casa del Leone si appellò alla “magnanimità” della classe politica. Che accettò, a patto di accaparrarsi delle quote, e ora la situazione le è favorevole.

Ora la sensazione di tradimento in Italia è forte. In un articolo a firma di Osvaldo De Paolini, si raccontano le tappe di un gruppo che ha avuto un ruolo decisivo nella nostra storia economica e sociale. La rabbia è rivolta principalmente verso John Elkann, numero uno di Exor, che ha favorito la fusione tra Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e PSA Groupe, senza considerare in maniera adeguata le conseguenze per il Belpaese. La “svendita” di FCA, come la definì Romano Prodi, ha determinato la perdita di influenza industriale e di immagine della nostra penisola.

John Elkann

Invece di opporsi alla fusione, l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte la ritenne un’opportunità. Addirittura, avallò una garanzia di Stato per un finanziamento di 6,3 miliardi a Fca. Poco più tardi, gli azionisti di Fiat Chrysler Automobiles ricevettero un dividendo monstre di 5,5 miliardi, impoverendo il patrimonio della società. Un sacrificio che, alla luce dell’assorbimento del gruppo editoriale Gedi da parte di Elkann in concomitanza, ha attirato le critiche di addetti ai lavori e politici, in primis Carlo Calenda. Il leader di Azione, con trascorsi in Ferrari, ha sempre usato parole forti nei riguardi del rampollo della famiglia Agnelli-Elkann.

Se la fusione con PSA viene considerata da molti alla stregua di una cessione sotto mentite spoglie, era preventivabile la decisione degli attuali padroni di ridimensionare o persino chiudere stabilimenti storici quali Mirafiori. Le proteste di Fiom e Cgil, silenziose al momento della nascita di Stellantis, protestano ora, a danno ormai fatto.

In definitiva, il futuro dell’industria automotive italiana è incerto. La transizione all’elettrico è una sfida da affrontare con investimenti significativi e il supporto dell’esecutivo. Serve un piano definito nei minimi dettagli atto a salvaguardare i lavoratori e gli impianti, valorizzando le competenze e la storia dello Stivale nel comparto delle quattro ruote.

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