T&E stronca i biocarburanti auto che piacciono all’Italia: il riferimento alle patatine fritte

Secondo Transport & Environment, l’Unione Europea dovrebbe mantenere ferma la sua posizione: sì al ban termico 2035.
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La potente lobby verde Transport & Environment stronca i biocarburanti auto che piacciono all’Italia, spinti dal governo Meloni nell’Unione Europea come alternativa pulita alla vettura elettrica. Stando a Julia Poliscanova, Senior Director, Veicoli e catene di approvvigionamento per la mobilità elettrica presso Transport & Environment – che ha scritto un articolo su Autonews – “i biocarburanti sono la soluzione più subdola che viene proposta”.

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Attacco ai biocarburanti

“Mentre i più complessi sistemi di certificazione possono renderli sostenibili sulla carta, l’approvvigionamento fraudolento implica che molti automobilisti probabilmente utilizzino olio di palma vergine spacciato per olio da cucina esausto, che non ha mai visto una patatina fritta”, sostiene Poliscanova.

Il furbetto del biofuel

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Per la rappresentante di T&E (federazione europea per i trasporti e l’ambiente, un ombrello europeo per le organizzazioni non governative), quindi, il proprietario di un’auto usa olio di palma vergine spacciato per olio da cucina esausto, che in realtà non ha mai fritto neppure una patata. Infischiandosene dell’ambiente. Lo farebbe per aggirare le norme. Il furbetto del biofuel, lo chiameremmo.

In effetti, l’UE ha espresso apprezzamento per i carburanti sintetici (e-fuel) che piacciono tanto alla Germania. Ma non ha mai preso in considerazione neppure un secondo i biocarburanti che piacciono all’Italia.

Biocarburanti in Italia: cosa fa Eni 

Proprio il 28 maggio 2025, Enilive, la società di Eni dedicata ai prodotti e ai servizi per la mobilità, ha incontrato a Roma i rappresentanti delle 20 associazioni nazionali dei consumatori. Particolare attenzione è stata rivolta alla bioraffinazione, di cui il gruppo è pioniere con 10 anni di esperienza. Le bioraffinerie lavorano prevalentemente scarti, come gli oli esausti da cucina e i grassi animali, residui provenienti dall’industria agroalimentare, e anche oli vegetali per il cui approvvigionamento il colosso sta sviluppando in diversi Paesi progetti di agri feedstock, cioè di coltivazione e spremitura di semi: è a partire da queste materie prime si produce biocarburanti HVO (Hydrotreated Vegetable Oil, olio vegetale idrogenato) adatti all’utilizzo nelle motorizzazioni diesel a tal fine omologate, oltre a bio-GPL, bio-jet e bio-nafta, quest’ultima destinata alla filiera della chimica. 

Parecchi investimenti

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Enilive è il secondo produttore europeo di HVO e il terzo a livello globale. Oltre a Venezia e Gela, detiene il 50% della joint venture St. Bernard Renewables (SBR), che gestisce una bioraffineria a Chalmette, in Louisiana (USA), e ha importanti piani di sviluppo: a Livorno è stata confermata la costruzione di una terza bioraffineria, mentre in Malesia e in Corea del Sud due ulteriori progetti sono in fase di valutazione. 

Punta ad aumentare la propria capacità di bioraffinazione a tre milioni di tonnellate/anno entro il 2026 e cinque milioni entro il 2030.  Dal punto di vista della distribuzione, conta oltre 5.000 stazioni di servizio in Europa, di cui 4.000 in Italia che ogni giorno accolgono oltre un milione e mezzo di persone. Uno dei prodotti di punta delle bioraffinerie di Venezia e Gela è già disponibile in oltre 1.000 Station: si tratta di HVOlution, il diesel da materie prime rinnovabili, cui si affiancano i carburanti tradizionali ma anche il bio-GPL, il biometano e le ricariche elettriche, oltre a servizi come il car sharing Enjoy e la ristorazione. 

Sempre e solo auto elettrica

Invece, T&E sostiene che si debba perseguire l’obiettivo iniziale Green Deal auto elettrica 2019: ban termico 2035, senza né se né ma. Tuttavia, Poliscanova evidenzia che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta cercando di ridurre molti incentivi nazionali per i veicoli elettrici e ha imposto dazi doganali estesi su tutta la filiera automobilistica globale. Nel tentativo di evitare un afflusso di veicoli elettrici a basso costo dalla Cina, l’UE ha introdotto dazi aggiuntivi sulle importazioni (sebbene i negoziati con Pechino siano ancora in corso). Tuttavia, dice che le vendite di elettriche sono in aumento nell’UE, grazie all’arrivo sul mercato di modelli più accessibili.

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Quindi, cosa dovrebbe fare l’UE con la sua legge automobilistica più importante?

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Il primo obiettivo significativo in materia di CO2, nel 2020, prosegue, ha triplicato le vendite di veicoli elettrici in un anno, “consentendo all’Europa di superare persino la Cina”. Così dice Poliscanova. L’attuale target per il 2025, nonostante un ritardo di due anni, sta portando decine di modelli di veicoli elettrici a prezzi accessibili, per lo più prodotti localmente, agli automobilisti europei.

Gli effetti della decisione del 2035 sono stati ancora più significativi. Centinaia di gigawattora di capacità delle batterie, la tecnologia più contestata della transizione energetica, sono state annunciate nel continente. “Molti CEO di aziende produttrici di batterie hanno dichiarato pubblicamente con orgoglio che la ragione per cui hanno scelto l’UE è stata l’obbligo di emissioni zero entro il 2035”, aggiunge. In parole povere, il regolamento 2035 è la principale politica di investimento dell’UE nel settore automobilistico. “La Commissione Europea dovrebbe mantenere gli obiettivi di CO2 per il 2030 e il 2035 come concordato e concentrarsi sui pilastri per raggiungerli. Ciò include l’affiancamento agli obiettivi climatici di una strategia industriale completa per contribuire all’espansione della filiera locale delle batterie, il miglioramento della qualità e dei costi delle infrastrutture di ricarica pubbliche e la preparazione della rete elettrica alla transizione”.

Stangate pure le PHEV e le EREV

“Dopo le rivelazioni secondo cui molti utenti di ibridi plug-in non ricaricavano regolarmente le batterie, rendendo le auto molto meno efficienti rispetto ai dati pubblicati, molti governi hanno revocato gli incentivi per i veicoli ibridi plug-in”. PHEV bocciate da T&E.

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In quanto alle EREV (ibride con grande elettrico e piccolo benzina), “nonostante un’autonomia pubblicizzata fino a 900 km, uno sguardo più attento rivela una percorrenza elettrica inferiore ai 200 km. La restante è ancora fornita da un motore a benzina sottodimensionato, il che li rende una propulsione prevalentemente a combustibili fossili. In altre parole: vino vecchio, bottiglia nuova”.

Infine, “esiste già una disposizione che consente la completa ricarica carburanti sintetici alternativi alla benzina. Ma questi costeranno almeno 6 euro al litro e difficilmente andranno a beneficio di nessuno, fatta eccezione per gli automobilisti più ricchi”.

Perché si insiste oggi sul tutto elettrico?

Il richiamo al tutto elettrico arriva in un contesto particolare. Si deve tornare al Green Deal 2019: all’epoca, la sinistra in Germania era fortissima e impose all’UE (fra le mille regole) pure il full electric 2035. Oggi la stessa sinistra si sta squagliando in terra teutonica, con un forte ritorno al carbone: addirittura Scholz ha perso il “trono”. E non ci sono più gli estremismi di una volta. Per governare, serve l’aiuto di altre forze politiche non così orientate verso l’elettrico totale. Qualcosa di analogo accade nell’amica (dei tedeschi) Francia. Venendo a mancare il pilastro di sostegno di Berlino e Parigi, oggi stampella, gli equilibri di potere cambiano.

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Il secondo timore arriva da una micro concessione UE: un mini allentamento delle multe di 16 miliardi di euro alle Case per sforamento delle emissioni CO2 nel 2025. Grosso modo, si dà più tempo per rientrare nei limiti. In un gigantesco Piano d’Azione UE, fatto di mille capitoli roboanti, questo è il risultato, peraltro tardivo: i Gruppi auto hanno da tempo già accantonato i soldi da pagare in multe. O per comprare crediti verdi in pool da Cina e Tesla. 

Il mito della purezza elettrica: secondo noi

A nostro avviso, a ondate, arrivano le tesi delle lobby green sul mito della purezza elettrica. Solo il full electric è pulito, il resto ha qualcosa di sporco. Altre soluzioni sono viste con sospetto: inefficienze, frodi, furbizie. Qualsiasi deroga sarebbe un passo indietro insidioso verso il raggiungimento del Sacro Graal a batteria. No a un approccio più pragmatico e multi-tecnologico. Ogni tanto, si estrae dal cilindro il “Greenwashing”: la pratica di presentare come ecologico ciò che non lo è. Non basta la tracciabilità rigorosa, non sono sufficienti i sistemi di certificazione. E in quanto ai desideri dei consumatori, alla loro libertà di scelta e movimento, tutto viene messo in discussione in nome del dio powertrain a corrente.

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