BYD si europeizza in due modi per stravincere

Il colosso cinese BYD pianifica di moltiplicare per due la rete di vendita in Europa. E aprirà almeno due fabbriche nel Vecchio Continente.
byd ue byd ue

Entro fine 2025, almeno 1.000 punti vendita BYD in Europa, e 2.000 totali per il 31 dicembre 2026: lo ha detto Maria Grazia Davino, direttore generale regionale per l’Europa di Build Your Dreams, durante un evento a Francoforte. In linea con i concorrenti di successo, il Gruppo ha bisogno di guadagnare vicinanza ai clienti europei, ha spiegato. Si tratta di una strategia di localizzazione a lungo termine per il Vecchio Continente, dove la società è già presente in 29 mercati.

Advertisement

Le fabbriche europee di BYD

Si attiveranno inoltre a breve le fabbriche europee di BYD in Ungheria, Turchia e forse Spagna. Si cercano soluzioni dove il costo dell’energia sia basso: non certo la Germania. E Paesi che hanno votato no ai dazi anti auto elettriche cinesi: l’Italia ha votato sì ed è tagliata fuori per il momento. Così vuole Pechino, che indirizza le Case.

Quanto vende BYD in UE

Advertisement

Le vendite europee di BYD sono più che triplicate a 80.807 veicoli nei primi nove mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo 2024, dopo che la Casa automobilistica ha iniziato a vendere ibridi plug-in oltre alle auto BEV. La localizzazione in una regione matura come l’Europa è un progetto molto importante: “Richiede conoscenza, dedizione, investimenti e risorse a tutti i livelli”, ha detto Davino.

Dazi UE: protezione BYD

L’annuncio delle fabbriche in Ungheria, Turchia e potenzialmente Spagna è strategico. Scegliendo Paesi con costi energetici più bassi e talvolta con posizioni più morbide sui dazi (come l’Ungheria), BYD si europeizza. Zero dazi sulle elettriche Made by China. Qualora arrivassero dazi UE anti PHEV, la società cinese sarebbe pronta.

maria grazia davino byd

UE in mezzo alla tormenta

Sono pesanti le conseguenze per l’Unione Europea: col ban termico sperava nel tutto elettrico europeo, coadiuvato dai dazi anti BEV cinesi. E invece si ritrova invasa dai costruttori del Dragone che hanno diversificato con intelligenza: elettriche più PHEV termiche ibride a benzina ricaricabili. La contraddizione è evidente: a sinistra il Green Deal 2019 con la decarbonizzazione pro industria automobilistica europea; a destra la superpotenza asiatica, decisa a dominare. I Gruppi europei faticano tenere il passo dell’integrazione verticale (produzione interna di batterie e semiconduttori) delle aziende auto del Dragone, dominatore assoluto della filiera della batteria e dei veicoli a corrente.

La tripla dipendenza UE

Advertisement

Quindi, l’indotto Ue – in assenza di commesse dalle Case – tende a fare accordi coi costruttori cinesi. Abbiamo una dipendenza energetica da altri Paesi: prima la Russia con gas a basso prezzo, in futuro gli USA con gas ad alto prezzo (GNL da rigassificare con ripercussioni sulla verde Europa e con potere termico inferiore). Ci servono come ossigeno dalla Cina le batterie e le terre rare. E assistiamo all’irresistibile ascesa delle aziende orientali, tech company di potenza spaventosa. Che giustamente profittano dei nostri involontari assist d’oro. Green Deal in salsa tedesca, il più grave sbaglio strategico europeo, con ricadute sull’automotive. Non per nulla, si chiede l’abolizione del ban termico mentre molti azionisti si interrogano se sia il caso di puntare sulla difesa (droni e armamenti ultra tecnologici) anziché sulle auto. Le guerre green.