Il suicidio dell’auto europea con l’elettrico sta in un dato: il margine di profitto dell’industria automobilistica cinese è stato del 4,4% nel 2025, pari a 1.700 euro per veicolo, il secondo valore più basso della storia. I Gruppi UE non se lo possono permettere, dovendo macinare quattrini, fare utili. Al primo profit warning, il CEO è sulla graticola. La performance cinese è caratterizzata da una crescita di scala. Nonostante i ricavi del settore abbiano superato i 10.000 miliardi di yuan, i costi sono stati di 8,84 trilioni di yuan (+9%) e gli utili di 440,3 miliardi di yuan (+7,5%). Incassi tanto, ma hai così tante uscite che ti resta poco in mano. Nel Paese del Dragone tutto questo è possibile, anche grazie agli aiuti di Stato. In Europa, no.
La soluzione per il Vecchio Continente sarebbe puntare sul termico (benzina, diesel e ibrido), così da fare una battaglia di prezzi con il predominio nel campo tecnologico. Ma tuffarsi sulle elettriche significa perdere in partenza, giacché la Cina domina il settore e le Case hanno modo di vivere senza l’ansia dell’utile immediato.
Cina, situazione particolare
Secondo la testata Autohome, oltre la metà delle concessionarie è in perdita e più del 70% dei modelli di auto viene venduto in perdita. Un esempio è Great Wall Motor (GWM): nei primi tre trimestri, a fronte di un aumento dei ricavi dell’8%, l’utile netto è crollato del 17% a causa della feroce concorrenza. D’altronde, finché Pechino pompa miliardi per spingere verso veicoli con autonomia, utilità e praticità limitate, la bolla non scoppia. Appena si stringe la cinghia, il sistema salta in aria e resistono solo i più grandi: circa 20-30 marchi su 130. Gli altri brand cinesi o scompaiono o vengono inglobati.
Obiettivo del Celeste Impero
Adesso, a Pechino (e a catena alle Case) non importa molto del profitto. La cosa fondamentale è penetrare profondamente nel mercato globale. Fino ad allora, il profitto è un conto che verrà saldato in futuro. C’è tempo e spazio per recuperare. Invece, l’industria auto elettrica UE vive un incubo: produce con costi dell’energia altissimi, deve tagliare in continuazione, si vede invadere da prodotti freschi e più efficienti.
Cosa accadrà in UE nel 2026
Se il 2025 è stato l’anno dei segnali d’allarme e del consolidamento della strategia cinese, il 2026 sarà il momento in cui le contraddizioni strutturali dell’Unione Europea esploderanno, mettendo a rischio la sopravvivenza di interi comparti industriali. L’efficacia dei dazi europei sulle auto elettriche cinesi (che arrivano fino al 35,3% per alcuni produttori) verrà messa a dura prova. Più di oggi.
Le Case cinesi, abituate a margini del 4,4% e a costi di produzione drasticamente inferiori, hanno già dimostrato di poter assorbire parte di queste tariffe senza aumentare i prezzi finali in modo proporzionale. Giganti come BYD e MG (SAIC) possono permettersi di giocare in perdita o in pareggio in Europa pur di rosicchiare quote di mercato.

Ungheria e Spagna super star automotive
Nel 2026, i marchi cinesi inizieranno a produrre direttamente sul suolo europeo (Ungheria e Spagna), aggirando i dazi e portando la competizione sui costi del lavoro e dell’energia direttamente a casa dei costruttori storici. Avremo le loro fabbriche di auto e di batterie. Su territori dove l’energia costa poco: vedi soprattutto l’ambitissima terra magiara, che compra il gas dalla Russia. Con il calo della domanda di auto termiche e l’incapacità di competere sui componenti elettrici (dominati dalla Cina), migliaia di piccole e medie imprese europee dichiareranno fallimento. Per salvare l’industria meccanica, l’UE potrebbe concedere deroghe permanenti ai motori a combustione alimentati da carburanti neutri: dal 100% al 90% non cambia nulla. Occorre scendere allo 0%, nel segno della libertà.
