Passata la sbornia di paroloni burocratici sul calo del pedaggi, veniamo alla realtà: dal 1° gennaio dell’anno prossimo, aumento dell’1,5% su quasi tutta la rete. In base all’inflazione programmata. Ossia: siccome la vita rincara, allora le concessionarie hanno diritto in previsione a ottenere tariffe maggiori. Come prevedono le convenzioni fra Stato e gestori.
L’ira di Salvini
“La sentenza contraria della Corte Costituzionale ha vanificato lo sforzo del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e dello stesso governo di congelare le tariffe fino a definizione dei nuovi Pef regolatori”, dice Salvini. Riferendosi al Piano economico finanziario di ogni società. La sentenza della Consulta che ha di fatto determinato la legittimità degli aumenti tariffari determinato sull’andamento dell’inflazione è dell’ottobre scorso: afferma come le disposizioni che hanno rinviato i termini per l’adeguamento dei pedaggi autostradali per gli anni 2020, 2021, 2022 e 2023, in attesa dell’aggiornamento dei piani economici finanziari, sono costituzionalmente illegittime. La Corte Costituzionale ha accolto così il ricorso del Consiglio di Stato che lamentava la lesione della libertà di impresa e dell’utilità sociale. Ha dato conto del complesso quadro fattuale e normativo in materia, che vede oggi attribuita all’Autorità di regolazione dei trasporti.
Autostrade, che grande vittoria
Il meccanismo che regola i pedaggi in Italia è complesso: il diritto d’impresa delle concessionarie sembra prevalere costantemente sul diritto alla mobilità dei cittadini. In Italia, la rete non è gestita direttamente dallo Stato, ma affidata a privati o società a partecipazione pubblica attraverso contratti a lungo termine. Questi contratti prevedono una formula di adeguamento tariffario annuale basata su tre pilastri: inflazione, investimenti realizzati e qualità del servizio. Tuttavia, la recente sentenza della Consulta ha ribaltato il tavolo, sancendo che il blocco dei rincari deciso dal governo negli anni passati è stato un esercizio di potere illegittimo. Il sistema è blindato: se il costo della vita sale, il pedaggio deve salire per garantire l’equilibrio economico-finanziario del gestore. È una clausola di salvaguardia che trasforma l’autostrada in una rendita di posizione quasi priva di rischio imprenditoriale.
Un limbo pieno di anomalie
È il concetto di inflazione programmata a generare le frizioni maggiori: si paga oggi un aumento calcolato su una proiezione teorica dei costi futuri, una sorta di cambiale in bianco che l’automobilista firma ogni volta che ritira il biglietto al casello (o va col telepass). Se a questo aggiungiamo che molti dei piani sono in fase di revisione o scaduti, ci troviamo in un limbo normativo dove l’unica certezza rimane il prelievo forzoso.

Automobilista bancomat
Come e più di ieri, aumenti precisi e puntuali sulle spalle dell’automobilista bancomat italiano. Prima le accise del diesel, poi i pedaggi, oltre al rincaro della polizza Infortuni del guidatore. Dove ci si gira, c’è una batosta per il guidatore. Perché? Facile: si deve per forza fare il pieno di energia (benzina, gasolio o elettricità). E quando ci si sposta non si può fare a meno delle autostrade. L’alternativa è un viaggio lumaca della speranza su statali, regionali e provinciali.
È un doppio schiaffo: l’aumento dell’1,5% si riflette immediatamente sul costo delle merci, dato che l’80% del trasporto in Italia avviene su gomma. Ogni chilometro percorso da un Tir diventa più caro, innescando un effetto domino sui prezzi al consumo nei supermercati.
