Nello stabilimento di Atessa, il cuore pulsante di Stellantis per i veicoli commerciali leggeri, il futuro ha il sapore agrodolce degli ammortizzatori sociali a lungo termine. La direzione aziendale ha infatti confermato che i contratti di solidarietà, che avrebbero dovuto scadere a fine anno, saranno prorogati fino al 31 luglio 2026.
La decisione che mostra certamente una prudenza eccessiva, o forse solo una cronica incertezza, con la percentuale dei lavoratori coinvolti che però scende dal 41% al 35%, lasciando circa 300 persone “in panchina” su un organico di 4.350.

Tra una cassa integrazione e l’altra, spunta quello che la Uilm definisce un “segnale di speranza”. A partire da febbraio 2026, la produzione giornaliera dovrebbe passare dagli attuali 640 a 820 furgoni. Questo sprint produttivo permetterà il ripristino parziale del terzo turno di lavoro, precedentemente tagliato, coinvolgendo circa 800 operai su base volontaria. Il 2025, intanto, si avvia a chiudere con circa 166.000 furgoni prodotti, un numero che conferma l’importanza strategica del sito ma che non basta a eliminare i timori dei sindacati.
Una mano tesa sarebbe quella arrivata da Bruxelles. Lo stop alla vendita di motori termici dal 2035 è stato alla fine scongiurato. Per la Fiom, questo elimina ogni alibi. Stellantis non ha più scuse per giustificare la mancanza di investimenti nel settore automotive in Italia. Se il furgone del futuro deve nascere ad Atessa, servono certezze industriali e non solo una gestione basata su uscite incentivate.

La partita, intanto, si gioca anche a Termoli, dove il sindacato chiede a gran voce la rivitalizzazione del sito con la produzione di nuovi motori e il rilancio del progetto della Gigafactory, forte degli oltre un miliardo di euro stanziati dall’Europa per le batterie.
Atessa, quindi, si prepara a sfornare più furgoni nel 2026, con la richiesta al Governo italiano che resta chiara. Bisogna smettere con gli ammortizzatori, ridurli almeno: serve un piano vincolante. Nell’era dell’elettrico (un tempo) forzato, a salvare il posto di lavoro in Abruzzo potrebbe essere proprio il ritorno di fiamma del termico.
