Stando al sindacato, c’è una pesante conseguenza al fatto che Stellantis cambia fornitore di olio: 520 posti di lavoro a rischio in Italia. Di cui 450 a Villastellone (Torino) e 70 a Napoli. Il Gruppo – che non commenta – passa da un marchio locale di proprietà della malese Petronas alla francese Total. O meglio TotalEnergies. La prima ha perso la storica commessa Selenia, che per 112 anni ha legato l’ex Fiat Lubrificanti al Gruppo, ora confluito in Stellantis. La produzione del noto olio motore passerà dal 1° gennaio 2026 alla concorrente francese Total, che si è aggiudicata la nuova gara di fornitura. Addio al fornitore storico e localizzato, sostituito da uno straniero, con implicazioni delle catene di approvvigionamento globali e sulla protezione dell’occupazione locale.
Forte la reazione da parte della Uilm, che ha espresso preoccupazione per il futuro occupazionale degli stabilimenti italiani coinvolti nella produzione di Selenia. A rischio anche l’indotto locale legato a questi siti.

Stellantis e fornitori: quadro complesso
D’altronde, se Stellantis vende meno o se cambia fornitori, le ricadute sull’indotto italiano sono notevoli da anni. Lo sanno bene le aziende in Piemonte, che infatti come altre di diverse aree puntano sulle commesse da parte della cinese BYD: magari per creare un triangolo dello Stivale con le fabbriche del colosso orientale in Ungheria e Turchia.

I soggetti in gioco
Il marchio Selenia, insieme al Paraflu, entra nella galassia Petronas nel 2007: all’epoca la compagnia asiatica rileva l’ex Fiat Lubrificanti dal fondo americano KKR. Che aveva acquistato l’attività due anni prima da Fiat. A Torino, Petronas ha anche sviluppato un centro di ricerca specializzato in lubrificanti innovativi, ma il cuore della produzione è legato alla storica commessa.
Si ha (o aveva ormai) un legame storico e profondo con l’industria automobilistica italiana, in particolare con Fiat. D’altra parte, Stellantis ha il diritto di operare come crede per fare profitti, proprio alla pari di qualsiasi altro Gruppo auto o società. Va anche considerato che Stellantis nasce dalla fusione tra Fiat-Chrysler (con una forte eredità italiana e americana) e PSA (con radici francesi). Dopo 112 anni di collaborazione Fiat (o Stellantis che dir si voglia) con Selenia, siamo innanzi a un evento di grande portata, in seguito a criteri di valutazione economici (costo), tecnologici (qualità, innovazione) e logistici. O in base a criteri liberamente scelti.

Il sindacato si è impegnato a utilizzare tutti gli strumenti disponibili per proteggere i lavoratori. Cioè? Non si sa. Immaginiamo negoziati, scioperi, proteste e pressione politica. La preoccupazione si estende anche ad altri fornitori dell’indotto automobilistico italiano, suggerendo che le decisioni del Gruppo hanno un effetto a cascata su tutta la filiera produttiva.
Petronas minimizza: la perdita della commessa potrebbe addirittura offrire l’opportunità di aprire nuovi mercati per i prodotti Selenia.
Stellantis giù, niente Cina: situazione preoccupante per l’Italia
Stellantis è l’unico grande costruttore automobilistico in Italia, che è un mercato senza ossigeno: nel 2024, la sua produzione nel Paese è scesa a circa 475.000 veicoli, il livello più basso dal 1956. L’obiettivo del governo di alzare la produzione a un milione non è stato centrato: i bonus statali non sono serviti. L’altro target di avere un produttore cinese in Italia neppure è stato raggiunto, perché la nostra nazione ha detto sì agli extra dazi UE anti full electric Made in China. Di qui, il no di Pechino a industrie cinesi nel Belpaese.
Oltre l’olio
Eppure, Petronas ha un centro di ricerca e sviluppo a Torino, specializzato in lubrificanti green e fluidi per auto elettriche. Di recente, è stato lanciato Selenia SUSTAINera, gamma di oli lubrificanti rigenerati, sviluppata in co-branding e parte della strategia di economia circolare di Stellantis per ridurre le emissioni di CO2.
Il caso del cambio di fornitore dell’olio Selenia da Petronas a TotalEnergies è più di una semplice transazione commerciale: è un passaggio iconico per il sistema Italia. La vulnerabilità dell’indotto è nota da tempo, e ora confermata. Possibile un effetto domino, con compromissione dei posti di lavoro di una prima azienda e poi sull’intero ecosistema industriale. La rivoluzione del Green Deal auto elettrica 2019 porta conseguenze pesanti per la nostra nazione, per la Germania (60.000 disoccupati nell’indotto a fine 2024, più 35.000 uscite VW spalmate negli anni) e per l’Europa automotive e no. E siamo solo all’inizio, sebbene la spinta sinistroide UE si sia attenuata, per via della sostanziale perdita di consenso elettorale a Berlino (regina del corso verde) e Parigi.