Volkswagen: giorni lavorativi a Wolfsburg, sorpresa auto elettrica?

Volkswagen potrebbe ridurre la produzione di Wolfsburg a quattro giorni lavorativi a causa della transizione ai veicoli elettrici.
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Volkswagen sta ristrutturando il suo stabilimento di Wolfsburg per produrre modelli elettrici Golf e T-Roc, ma la transizione comporterà minori volumi di produzione e una riduzione dei posti di lavoro. Si pensa a quattro giorni lavorativi nel 2027, dice Automotive News. Il cuore pulsante del colosso tedesco si trova di fronte a una realtà difficilissima imposta dal Green Deal UE 2019, ossia proprio dai teutonici di sinistra a Berlino, a braccetto con la Francia e con gli eterni amici Paesi Bassi. Una realtà amara: la Cina divora il Vecchio Continente controllando la filiera elettrica, mentre sino a qualche anno fa col termico l’Europa si giocava la partita.

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Lo ha dichiarato ai lavoratori il capo del comitato aziendale Daniela Cavallo, figura centrale nelle trattative con la dirigenza lo scorso anno sui tagli ai costi. Con un’aggiunta per i lavoratori: meglio svolgere turni aggiuntivi ora, per compensare la probabile riduzione delle ore di lavoro negli anni a venire.

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Piano a festeggiare la riduzione dei giorni lavorativi a quattro a settimana: si chiama ridimensionamento dei volumi di produzione e dell’occupazione. Una trasformazione industriale profonda in stile harakiri UE.

Sindacati impauriti

Questa storia dei quattro giorni VW genera apprensione tra i dipendenti e i sindacati. La logica dietro a questa decisione è chiara: la produzione di veicoli elettrici, a parità di volumi, richiede un numero inferiore di componenti e un processo produttivo meno intensivo. Serve tagliare, risparmiare, ridurre all’osso, essere iper competitivi per fare margine di profitto. Per la T-Roc, tutto made in Germany. Per la Golf elettrica, i nomi sono Wolfsburg, Messico e Polonia.

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Meno parti

D’altra parte i 60.000 licenziati dell’indotto auto tedesco, più i 35.000 tagli per il 2030 VW più chissà altre pesantissime sforbiciate di altri Gruppi e fornitori sono figlie di un motore elettrico che ha meno parti mobili rispetto a uno a combustione interna. Necessarie linee di assemblaggio più snelle, meno indotto, nuove competenze. Fa sorridere chi nell’UE e fra le lobby verdi sosteneva che la perdita di lavoro del termico sarebbe stata più che compensata dai nuovi posti del full electric: favolette ultra green da dare in pasto a media e social compiacenti.

Mercato debolissimo

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La quota mercato elettrica in UE è del 15% (5% in Italia). Le BEV ansimano, senza bonus né colonnine a sufficienza. VW a chi può vendere le full electric se già tutti i Gruppi praticano super sconti per evitare le multe di Bruxelles da 16 miliardi di euro? Una guerra dei prezzi che determina profitti bassissimi, preoccupazione fra gli azionisti. Limitatamente ai siti VW, Zwickau, Emden e Hannover stanno seguendo un percorso di conversione all’elettrico costosissimo e delicato: c’è sempre il timore – legittimo – che tutto questo non basti a contrastare il Celeste Impero. Dove peraltro le elettriche europee fanno un flop colossale. Ci sarebbero gli USA, che piazzano dazi. Quindi, di grazia, le macchine a corrente chi le compra? Le lobby green intendono imporle come flotte alle aziende e come leasing sociale ai meno abbienti: siccome i privati non le vogliono, si cercano disperatamente altre vie. Ormai questo dei gruppi iper ecologici oltranzisti è un esercito in fuga che – anziché puntare al target prefissato – inizia a sparare all’impazzata verso qualsiasi cosa si muova, scoiattoli inclusi.

Problema Golf

Non ultimo, c’è la questione della produzione di Golf a livello globale, la maggior parte della quale era concentrata a Wolfsburg: è scesa da oltre un milione nel 2015 a poco più di 300.000 unità nel 2024, con una previsione di sole 250.000 unità per quest’anno. “La tendenza è un declino inarrestabile. La Golf deve andare in Messico! Prima o poi. Altrimenti, il nostro stabilimento finirà in fondo a queste statistiche che ho appena mostrato”, ha dichiarato Cavallo, riporta la Reuters.

VW ID.3 e Cupra Born: che fare?

Ci sarebbe l’intenzione di trasferire la produzione dell’ID.3 e della Cupra Born dallo stabilimento di Zwickau a Wolfsburg. Questa mossa fa parte di un accordo con la IG Metall, per utilizzare meglio la capacità produttiva, lì dove la produzione della Golf terminerà alla fine del 2026. Non è che la Born faccia faville (11.000 unità vendute nel primo trimestre 2025), comunque potrebbe riempire il vuoto produttivo. Cupra ha anche ampliato la gamma Born con una versione sportiva di punta, la Born VZ, che offre prestazioni migliorate e maggiore autonomia.

Effetto domino devastante

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Il discorso va allargato. Meno ore di lavoro, meno produzione del gigante, meno indotto di qualunque genere, meno soldi che girano: una decrescita elettrizzante. Le fluttuazioni occupazionali in fabbrica si ripercuotono anche a livello politico-istituzionale. In teoria, riqualificazione professionale, pre-pensionamenti incentivati e mobilità interna rendono meno forte il cazzotto i primi mesi. Pannicelli tiepidi per rendere meno dura la botta sotto il profilo mediatico.

Per che cosa poi?

Il tutto, questo il paradosso di base, per una tecnologia – la batteria – che rischia di essere molto più inquinante sul breve, medio e lungo periodo del benzina e del diesel nel ciclo vita, dalla produzione allo smaltimento. Un’euro-follia automotive, economica, sociale e politica senza precedenti.

Fra parole e fatti ci passa un oceano 

Come potremo mai dimenticare le parole pronunciate il 5 marzo 2025 dal Commissario Europeo ai Trasporti Apostolos Tzitzikōstas presentando in conferenza stampa il Piano UE per l’auto. Ossia per salvare settore e lavoratori: “L’industria dell’automotive contribuisce oggi al 7% del PIL dell’Unione Europea e dà lavoro circa a 14 milioni di dipendenti. Ma non si tratta solo di numeri. Per gli europei l’industria automobilistica fa parte della loro storia ed è motivo di orgoglio, ma oggi l’industria automobilistica è minacciata: rischi nella catena di fornitura, costi energetici, carenze, protezionismo e mancanza di fiducia nelle forniture importate stanno mettendo sotto pressione il settore”. Risultato: spalmate su tre anni le multe CO2 appioppate dall’UE alle Case. Poi qualche annuncio vago di incentivi paneuropei, con l’invito a collaborare di più per il futuro verde.

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